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Amiloidosi Cardiaca: la sfida è una diagnosi sempre più precoce

È UNA PATOLOGIA NON COSÌ RARA E PURTROPPO ANCORA TROPPO SOTTO-DIAGNOSTICATA MA OGGI LE TECNICHE AVANZATE DI IMAGING E GLI STUDI SULLA POPOLAZIONE AIUTANO A RICONOSCERE LA MALATTIA SEMPRE PIÙ PRECOCEMENTE.

A parlarcene, il Prof. Matteo Cameli, Associato di Cardiologia presso l’Università di Siena, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare e Segretario del board esecutivo dell’Associazione Europea di Imaging Cardiovascolare della Società Europea di Cardiologia.

Prof. Matteo Cameli UOC Diagnostica Cardiovascolare Azienda Ospedaliera Universitaria Senese
Professore, cosa si intende per Amiloidosi Cardiaca?

“La Cardiomiopatia da Amiloidosi Cardiaca fa parte di un cluster di  cardiomiopatie restrittive in cui c’è un anomalo e abnorme accumulo di una sostanza alterata, l’amiloide, a livello dell’interstizio miocardico. Questo progressivo deposito di amiloide rende via via più rigido e ispessito il miocardio, dando origine al quadro tipico sia strumentale che sintomatologico di scompenso cardiaco, che inizialmente va a compromettere in maniera parziale la funzionalità del paziente, ma nel tempo, se la diagnosi avviene in fase tardiva, può andare incontro a uno scompenso sempre più grave.

L’Amiloidosi Cardiaca può presentarsi a coinvolgimento singolo del miocardio oppure associata al  coinvolgimento anche del sistema nervoso periferico o di altri organi e parenchimi. Si conoscono circa trenta tipi diversi di Amiloidosi, ma quelle che coinvolgono in particolare il cuore sono due: l’Amiloidosi AL, che si associa a discrasie ematologiche, come il mieloma multiplo, con deposito anomalo di catene leggere di queste proteine alterate; e la forma TTR da Transtiretina, che a sua volta di suddivide in una forma genetica e in una forma cosiddetta wild type, cioè senile.

Proprio sulla forma TTR negli ultimi anni si è concentrata l’attenzione di clinici e ricercatori, sia in termini diagnostici che terapeutici, e sono emersi nuovi trattamenti che fino a pochi anni fa non erano disponibili. Ancora fino a pochi anni fa, infatti, la diagnosi di Amiloidosi di fatto comportava quasi invariabilmente una prognosi infausta, soprattutto per le forme più aggressive; oggi invece abbiamo a disposizione trattamenti farmacologici che hanno dimostrato efficacia, alcuni già approvati dalla Comunità Scientifica e altri in valutazione con trials sperimentali”.

Quanto è importante una diagnosi precoce? 

“È fondamentale, perché prima si riesce a identificare la malattia e la sua forma, più efficace sarà il trattamento e migliori saranno i risultati di una cura iniziata precocemente. Oggi abbiamo capito che l’Amiloidosi è tutt’altro che una patologia rara ma ancora molto sottodiagnosticata.

Per questo vi sono diversi studi in corso sia su scala nazionale che regionale, tra cui il Registro Carry, il progetto avviato nell’area tosco-umbra dalla Società Italiana di Cardiologia e dal Professor Michele Emdin, finalizzato a indagare diversi aspetti riguardanti l’Amiloidosi Cardiaca, come la frequenza di nuove diagnosi, gli standard diagnostici e le caratteristiche cliniche dei pazienti, per capire sempre meglio qual è la reale prevalenza di questa patologia e poter sollecitare l’attenzione dei clinici ad arrivare a una diagnosi precocemente”.

Quali metodiche sono a disposizione oggi per fare una diagnosi di Amiloidosi Cardiaca?

“Assume una rilevante importanza la valutazione clinica ma anche quella ecocardiografica in particolar modo con l’ecografia transtoracica, ma anche con un’ecocardiografia avanzata, cosiddetta speckle tracking. Quella di Siena è una delle prime scuole ad aver portato avanti negli anni questa tecnica di imaging che oramai utilizza da dieci anni, e che riesce a identificare una red flag, ossia un pattern di disfunzione ventricolare sinistra più marcata alla base del ventricolo rispetto all’apice, caratteristica quasi esclusiva dell’Amiloidosi Cardiaca TTR, consentendoci quindi una diagnosi non solo precoce ma anche certa.

Ma vi sono anche altre metodiche di imaging molto valide, come la Risonanza Magnetica Cardiaca o la Scintigrafia Miocardica con tracciante osseo, che ci permettono di identificare l’Amiloidosi in maniera inequivocabile. E questo è importantissimo, perché si tratta di una patologia che definirei non più rara ma di fatto spesso celata, a cui dobbiamo invece pensare per poter fare una diagnosi precoce e garantire il meglio della terapia ai nostri pazienti”.

Qual è la sfida futura?

“Riuscire a fare una diagnosi ancora più precoce, individuando dei marker precoci di diagnosi perché, come abbiamo detto, prima inizia la terapia, migliore sarà la prognosi. Con uno studio che stiamo conducendo presso l’Università di Siena in collaborazione con la Scuola Sant’Anna di Pisa abbiamo visto ad esempio come la valutazione della deformazione ventricolare sinistra – mediante strain miocardico – possa in qualche modo anticipare la diagnosi o comunque essere molto sensibile nel darci informazioni importanti su diversi aspetti delle malattie cardiache. Dobbiamo vedere nei prossimi anni quanto questo possa essere rilevante in termini prognostici per i nostri pazienti”.

 

FONTE. Sanità&Benessere efocus n°32

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