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Carcinoma Prostatico: dalla diagnosi alla cura

UN TUMORE MOLTO DIFFUSO MA NON ALTRETTANTO MORTALE, GRAZIE ALLE DIAGNOSI PRECOCI E ALLE DIVERSE OPZIONI TERAPEUTICHE. IL FUTURO: TERAPIE FOCALI E INDIVIDUAZIONE DEI PAZIENTI A RISCHIO CON INDAGINI GENETICHE.

Il Prof. Alessandro Antonelli, 47 anni, è Ordinario di Urologia presso l’Università di Verona e Direttore dell’Unità Operativa di Urologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, collocata presso il polo chirurgico di Borgo Trento. Il reparto si occupa di tutti gli ambiti dell’Urologia, da quello Oncologico, a quello funzionale, della Litiasi Urinaria, dell’Ipetrofia Prostatica, passando all’ambito Andrologico, con un approccio di tipo mini invasivo, laparoscopico e robotico, endoscopico e protesico.

Professore, come si inquadra il Carcinoma Prostatico in Italia?

“Il Cancro della Prostata rappresenta il primo tumore per gli uomini sopra i 50 anni, in termini di prevalenza è la prima patologia oncologica maschile, mentre per quanto riguarda la mortalità è la seconda/terza, in funzione della decade. L’incidenza così alta è dovuta in parte al fatto che si tratta di un tumore molto diffuso che colpisce il maschio nell’invecchiamento, in parte perché esistono mezzi di diagnosi molto potenti”.

A quali esami sottoporsi per una diagnosi precoce?

“L’esame principale per un’indagine di primo livello è il controllo del PSA (antigene prostatico specifico) che, pur non essendo un marcatore tumorale, rappresenta un accertamento di semplice esecuzione e non invasivo – un prelievo del sangue – che viene prescritto solitamente dal medico di medicina generale e che permette di effettuare uno screening cosiddetto “opportunistico”: infatti pur non avendo dei criteri sufficienti per essere obbligatoriamente prescritto a tutti, di fatto è consigliabile farlo per tutti i pazienti a rischio. Grazie al PSA ed alla visita prostatica si decide poi se proseguire quindi con eventuali approfondimenti”.

Chi sono i pazienti a rischio e da che età un uomo dovrebbe cominciare a fare questi esami?

“Abbiamo recentemente osservato con preoccupazione un declino della prescrizione del PSA, con la conseguenza di avere molte diagnosi tardive. Questo è accaduto in risposta all’abuso dei trattamenti invasivi che a cavallo degli anni 2000 si proponevano per qualsiasi Carcinoma Prostatico, anche quelli indolenti. Oggi – grazie anche all’introduzione della risonanza magnetica – abbiamo le idee molto più chiare e sappiamo che è sicuramente importante riconoscere tutti i tumori, per poi modulare una strategia ritagliata sul singolo caso. Alcuni tumori possono infatti non essere immediatamente trattati ma avviati a una sorveglianza attiva, altri richiedono cure molto aggressive. Oggi l’esame dovrebbe essere prescritto una prima volta a tutti i pazienti cosiddetti “a rischio”, vale a dire sopra i 50 anni o dai 45 in caso di familiarità”.

Quanto conta la prevenzione?

“Novembre è il mese dedicato alla prevenzione del Tumore della Prostata, ma nonostante queste campagne, in Italia, per cultura, la salute maschile è meno tutelata di quella femminile. Spesso è la moglie o il medico di medicina generale che consiglia dei controlli. Solo così il tumore solitamente può essere diagnosticato in una fase curabile, quando ci sono sintomi significa che la malattia è già ad uno stadio avanzato”.

Come si cura il Carcinoma Prostatico?

“In base al grado di aggressività ed all’estensione della malattia: se è a un livello molto circoscritto, si può decidere di procedere con una sorveglianza attiva (monitoraggio ogni 6 mesi del PSA e la ripetizione dopo 12 della risonanza). Se, invece è più estesa o aggressiva, si ricorre ai trattamenti chirurgici o radioterapici. Sopratutto nei soggetti più giovani, con aspettativa di vita sopra i 10/15 anni, e un tumore non esteso oltre la prostata stessa, si può decidere insieme al paziente di procedere con una prostatectomia radicale. La scelta dell’intervento offre l’opportunità di monitorare meglio la malattia, grazie alle informazioni sul tumore ottenute dall’esame istologico ed al PSA utilizzato dopo l’intervento come vero marcatore tumorale per effettuare eventuali trattamenti ulteriori, definiti “di salvataggio”. Negli stessi pazienti è possibile utilizzare anche la radioterapia, invece dell’intervento, ma questa opzione è più spesso utilizzata per i pazienti più anziani, o con comorbidità, o con tumori più avanzati. Nei casi più gravi dove sono invece presenti metastasi si ricorre a trattamenti sistemici (chemioterapia o trattamenti farmacologici per sopprimere la secrezione ormonale del testosterone). Nel futuro dovremmo disporre di screening genetici e di terapie che trattino focalmente il tumore, senza provvedimenti aggressivi”.

Qual è la qualità di vita post-terapia, in particolare dopo l’intervento?

“La qualità di vita dei pazienti è sempre centrale ed è un aspetto complesso da indagare perchè risente di molti fattori. Uno studio italiano collaborativo a cui abbiamo partecipato (studio Pros-IT, promosso dal CNR) dimostra come i pazienti operati di tumore alla prostata raggiungono nella maggioranza un ottimo benessere psico-fisico. Chiaramente è necessario un intervento in mani molto esperte, possibilmente con strumenti ad elevata tecnologia (come quella robotica), oltre che un ottimo programma di riabilitazione. Rispetto ai chirurghi che si occupano di oncologia, penso che noi urologi si sia fortunati, perché vediamo i nostri pazienti spesso guarire ed essere soddisfatti della loro qualità di vita”.

Contatti

Prof. Alessandro Antonelli

Direttore UO di Urologia Ospedale Maggiore Borgo Trento

Padiglione 15, Piazzale Aristide Stefani, 1

37126 Verona

Tel. 045 8127701

Mail: alessandro.antonelli@aovr.veneto.it

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