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Covid, l’anomalia del Cile: aumentano i vaccinati, ma anche i contagi. Ecco perché

Il Cile ha uno dei più alti ritmi di vaccinazione al mondo, eppure il tasso di nuovi contagi non smette di salire. La colpa? Un falso senso di sicurezza, arrivato troppo presto. E un rischio concreto, quello delle varianti, cui si fa forse ancora poca attenzione

 

Ma cosa sta succedendo in Cile? Il Paese ha uno dei più alti tassi di vaccinazione al mondo (oltre 7 milioni di dosi somministrate su 18 milioni di abitanti, con circa il 37% della popolazione ad aver ricevuto la prima dose e oltre il 20% entrambe), eppure il tasso di nuovi contagi non smette di salire.

Il 21 febbraio la media settimanale era scesa a 3.322 nuovi casi al giorno, all’inizio di aprile si è superata quota 7 mila, con punte di oltre 8 mila, mai viste dallo scoppio della pandemia. Tanto che il presidente, Sebastián Piñera, ha appena rinviato di 5 settimane il voto per l’Assemblea costituente, previsto domenica. E sono state imposte nuove chiusure e restrizioni.

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Dell’anomalia cilena si sono occupati Pascale Bonnefoy e Ernesto Londoño sul New York Times. E quel che ne emerge è chei cileni hanno abbassato troppo presto la guardia. «Nessuno discute che la campagna di vaccinazione sia stata un successo — dice al Nyt Francesca Crispi, presidente regionale dell’associazione medici cilena —. Ma ha instillato nella gente un errato senso di sicurezza, facendo credere che siccome stiamo per essere vaccinati tutti, la pandemia sia finita».

Insomma: vaccinare è assolutamente necessario, e va fatto nel tempo più breve possibile, ma l’attenzione deve restare comunque alta.

Al contrario, in Cile erano arrivate le riaperture di ristoranti, palestre, centri commerciali e chiese e, a gennaio, i permessi di spostamento per le vacanze estive (che in Cile coincidono con il nostro inverno, ndr). Infine la riapertura delle scuole il primo marzo, quando c’erano già i primi segnali di risalita dei contagi.

Sia per Crispi che per Claudia Cortés, epidemiologa della University of Chile, i permessi per le vacanze sono stato decisamente sconsiderati: «Più di quattro milioni di persone — spiega Cortés — hanno viaggiato nel Paese. Ciò ha portato il virus, che era stato in gran parte confinato in alcuni grandi aree, a diffondersi dappertutto». Anche perché non c’è stato alcun efficace sistema di tracciamento e, come ha ammesso anche il ministro della Salute, Enrique Paris, in governo non ha insistito abbastanza sul fatto che, vacanze o no, le misure di protezione e distanziamento dovevano continuare a essere rispettate.

Sul caso cileno ha puntato gli occhi anche Paul Nuki del britannico Telegraph, perché gli sembra istruttivo nel momento in cui, in Gran Bretagna — dove la campagna vaccinale è stata accompagnata da un lockdown duro e prolungato, dal quale si sta uscendo in modo molto graduale — il premier Boris Johnson viene accusato di procedere troppo «al rallentatore» con le riaperture e gli esperti che parlano dei possibili rischi di una terza ondata vengono bollati come Cassandre che si fidano più dei loro modelli che dei dati reali (quelli più recenti parlano di 2.370 nuovi casi nelle ultime 24 ore e soli 20 decessi). Lo stesso Telegraph dedica un corposo articolo firmato da Sarah Knapton all’elenco di tutti i presunti punti deboli delle previsioni di Imperial College, Warwick University e London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), secondo le quali la terza ondata, prevista entro fine estate, potrebbe causare da 40 mila a quasi 60 mila morti nel Regno Unito.

Può darsi che gli esperti, pur illustri, abbiamo, come sostiene Knapton, sottostimato l’efficacia della protezione vaccinale, ignorato la componente «stagionale» (all’aperto, il contagio è molto meno probabile, come conferma uno studio irlandese) e dato più peso ai modelli matematici che ai numeri reali. Ma Nuki invita a puntare l’attenzione su un fattore: lo sviluppo di nuove varianti del virus Sars-CoV-2.

In Cile, il vaccino di gran lunga più usato è il cinese Sinovac, simile, per preparazione e modo di azione, a quello di AstraZeneca. E, come quest’ultimo si è dimostrato meno efficace nei confronti della variante sudafricana (tanto che in Sudafrica non viene più utilizzato), così la protezione di Sinovac sarebbe, secondo uno studio, soltanto del 50,65% contro quella brasiliana, diffusasi anche in Cile.

Di qui il timore di Nuki che le previsioni citate sopra possano sembrare eccessivamente pessimistiche ora, marealistiche in caso di diffusione di nuove varianti più resistenti ai vaccini oggi disponibili.

Nel modello della LSHTM, ad esempio, si ipotizza un’efficacia protettiva di AstraZeneca pari a solo il 31% e il risultato sarebbero più di mille decessi al giorno a fine agosto nel Regno Unito. Tutto ciò non può che far riflettere su quanto sottolineato da Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas di Milano, nell’intervista concessa a Luigi Ripamonti: «Se non facciamo arrivare i vaccini anche nei Paesi a basso reddito saremo sommersi dalle varianti». In India, tanto per fare un esempio, in questi giorni è stata superata la soglia dei 115 mila nuovi casi giornalieri e in Brasile si sono sfiorati i 90 mila.

Fonte: corriere.it

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