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Takeda, il Giappone dei farmaci punta sulle manager italiane

Una tra le prime dieci aziende farmaceutiche al mondo, da otto anni affida alle donne la guida della divisione italiana. Annarita Egidi, attuale general manager: ““Ho ereditato la voglia di costruire, un mattone dopo l’altro, da mio padre muratore per oltre 40 anni e la capacità di ritagliare il mio percorso su misura, da mia madre, pantalonaia sartoriale. Sono cresciuta incoraggiata a pensare che con impegno, lavoro  e passione avrei potuto raggiungere traguardi ambiziosi”

 

Il Giappone punta sulle manager italiane. Non è lo slogan dell’ultima pubblicità per suscitare interesse nelle nostre menti più brillanti declinate al femminile e neanche il titolo di una slide sui flussi di lavoro che serve a ragionare sull’equilibrio di genere. E’ la storia di una realtà disegnata sul concetto di inclusione, rispetto e progresso e affidata a un gruppo di donne che ne stanno costruendo una storia di eccellenza: è la storia di Takeda. Le manager italiane sono infatti il cuore, la mente e di fatto il motore sul quale questa azienda farmaceutica di grandezza mondiale ha deciso di impostare la sua storia nel nostro Paese.

 

L’oriente più civile, quello industrializzato al punto da essere divenuto sinonimo di tecnologia d’avanguardia già negli anni Ottanta, punta realmente sul modo di lavorare delle donne italiane. Una singola  realtà che finisce per rappresentare un vero e proprio caso di scuola. Parliamo di una delle dieci aziende farmaceutiche più grandi al mondo (per comprendere il perimetro finanziario di Takeda è sufficiente ricordare come nel maggio 2018 abbia acquisito l’irlandese Shire per 52 miliardi di euro) che ha deciso di costruire la spina dorsale della sua sede italiana investendo in capacità, attenzione e in generale talento tutto al femminile. Il rischio di scivolare in una retorica analisi di genere è concreto ma l’azienda in questione rappresenta davvero un caso particolare, di quelli buoni per una sceneggiatura stile Hollywood. Tradizioni e tecnologia, il passato che diventa infrastruttura del futuro, il tutto affidato a un gruppo di donne che di fatto ha finito col ribaltare le regole non scritte del management italiano.

 

Al vertice Annarita Egidi, un curriculum d’acciaio a disegnarne il profilo: laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutica, Master in Economia ed esperienza in diversi ruoli dell’organizzazione aziendale, dall’informazione medico scientifica, al brand management, al prezzo e rimborso dei farmaci, maturata in Recordati, GlaxoSmithKline e Pfizer. In Takeda Italia dal 2013, dove fino al 2018 ha ricoperto il ruolo di Market Access Director. L’azienda ha una storia che rimanda a un’epoca dove di fatto non era possibile anche solo immaginare una donna lontano da casa per lavoro. E’ il 1781, quando Chobei Takeda inizia a vendere erbe medicinali della tradizione giapponese e cinese a Doshomachi, il quartiere dei farmaci di Osaka. E’ in un lavoro porta a porta, isolato dopo isolato che il fondatore di Takeda costruisce un racconto d’eccellenza capace poi di accompagnare la storia dell’azienda per un quarto di secolo. Un lavoro di dettaglio, impostato sul connubio tra reputazione e qualità del prodotto.

 

Da Osaka a Roma non si può certo dire che il passo sia breve, ma gli oltre novemila chilometri che separano dalla casa madre non hanno intaccato la filosofia che accompagna l’azienda in ogni Paese in cui è presente. E il filo conduttore è una scelta al femminile di cui sembrano schernirsi gli stessi protagonisti: “Ho ereditato la voglia di costruire, un mattone dopo l’altro – racconta la dottoressa Egidi – da mio padre, muratore per oltre 40 anni e la capacità di ritagliare il mio percorso su misura per le mie capacità e caratteristiche, da mia madre, pantalonaia sartoriale. Sono cresciuta incoraggiata a pensare che con impegno, lavoro  e passione avrei potuto raggiungere traguardi ambiziosi. Ho poi avuto la fortuna di potermi esprimere in un settore, il farmaceutico, in cui la diversità, di genere, di cultura e di esperienze è considerato un valore, ed eccomi arrivare, con un bagaglio di 25 anni di esperienza in aziende europee ed americane,  ad  essere il terzo consecutivo  general manager donna di  TAKEDA italia”.

 

I numeri definiscono un gruppo dove regna un evidente equilibrio di genere. Ma gli ultimi otto anni di scelte sono inequivocabili: il suo arrivo segna l’evoluzione di una prima fila di manager donne. A cominciare nel 2013, dalla belga Chris Juliam, per passare a Rita Cataldo nel 2016 fino appunto al timone affidato quest’anno ad Annarita Egidi: “il mio leadership team è un mix di percorsi e di genere con 5 donne a capo di funzioni strategiche: oltre me, sono donne il capo della divisione oncologia, del market access, del legale, della funzione di compliance. Lo stesso vale per l’Europa: Francia e Germania sono guidate da donne fantastiche come pure l’oncologia. 5 donne con 7 uomini di di esperienza e valore nelle altre funzioni chiave che guidano una realtà industriale molto articolata”.

 

L’incontro avviene con il filtro classico delle piattaforme streaming dove ogni appuntamento è calendarizzato secondo uno schema simile a un videogame. Ma a colpire, nonostante l’impersonalità digitale, è soprattutto la capacità di raccontare il segmento farmaceutico con una umanità che sembra essere distante dalla freddezza tipica dei numeri d’industria. L’azienda ha 50mila dipendenti sparsi in 80 paesi nel mondo, è un punto di riferimento nella cura delle malattie rare e in Italia ha trovato la forza per non perdere di vista il lato più sensibile della malattia al punto da creare una campagna come ‘Il senso delle parole’: “Un punto d’incontro – spiega ancora Annarita Egidi – tra il linguaggio fatto di tecnicismi e termini neutri del medico e l’emotività di chi sta male. Di chi è costretto ad ascoltare. Ci siamo accorti che alcune parole venivano pronunciate in modo meccanico dal medico e recepite in modo drammatico dal paziente. La definizione di queste parole poteva aiutare. Faremo un dizionario da questo punto di vista. Anche cartaceo”.

 

Sensibilità, non solo dati. Quella che la porta a guidare un’azienda dove l’area oncologica è affidata ad Anna Maria Bencini, le aree Compliance & Legal a Giovanna Nazzaro ed Emanuela Chizzoni, funzioni che rappresentano un po’ il faro per l’intera organizzazione nella definizione delle iniziative per i pazienti. Passando poi alle risorse umane degli stabilimenti di Rieti e Pisa di Federica Dominicis, ai programmi di Patient Advocacy di Anna d’Aquino e Silvia Ficorilli, i Patient Support Programs di Carmela Speciale, il Procurement di Nicoletta Parenti, o al team di Medical Affairs dell’oncologia” guidato da Alessandra Fionda.

 

Fino al Market Access guidato da Claudia Russo Caia. Un’area strategica chiamata al dialogo costante con le Istituzioni (AIFA e Regioni) per garantire l’accesso ai farmaci dopo l’approvazione EMA. Sigle entrate ormai nel gergo comune dopo 15 mesi di pandemia. “Nella mia direzione – spiega la dottoressa Russo Caia – vogliamo facilitare l’accesso dei pazienti all’innovazione terapeutica e dare il nostro contributo al miglioramento del sistema salute, della sua organizzazione e dei servizi. Lavoriamo per garantire ai pazienti l’accesso alle cure ed essere partner del servizio sanitario nazionale. Uno dei temi sui quali abbiamo attivato delle collaborazioni è il Lean Management, ovvero il sistema di gestione del lavoro nato in Giappone, in un’azienda come Toyota, basato sul miglioramento continuo dei processi operativi e sulla riduzione degli sprechi. Applicato in Sanità significa migliorare le performance delle organizzazioni sanitarie e creare valore per i pazienti. Lavoro portato avanti da un gruppo molto vario sia geograficamente che per formazione, genere, età. Dai millennials appena assunti a colleghi che quest’anno compiono 38 anni di anzianità in Takeda. Una miscela di talenti, personalità e storie vissute che rende il confronto costantemente stimolante”. Strategia e attenzione al lato umano: “Sono stata nominata da poco Executive Sponsor di progetti dedicati alla Diversità – spiega ancora la dottoressa Russo Caia – lavoreremo per promuovere il valore dell’inclusione all’interno dell’azienda. Un impegno importante per un’azienda come Takeda già molto attenta e rispettosa”.

 

Parole che risaltano una volta di più in un momento storico e sociale tanto delicato in tema di equità di genere sul lavoro. Troppo facile ormai associare il concetto di parità tra i sessi in campo lavorativo e all’imbarazzante scena ormai etichettata come “Sofàgate” che ha visto Ursula Von der Layen in piedi e poi accomodata su un divano mentre i due maschi alfa Erdogan e Michel dialogavano di scenari politici internazionali. Una scena entrata di forza nei libri di storia e ripresa tra le righe di ogni discorso lavorativo inerente un’organizzazione chiamata a ragionare sul ruolo delle donne: “Sento di essere in una situazione speciale – racconta la dottoressa Egidi – se osservo il mondo del lavoro fuori dal mio settore, dove vedo ancora molte donne in  difficoltà, che non sono messe nella condizione di potersi esprimere e di poter bilanciare la vita familiare con una carriera e un lavoro soddisfacente o in condizioni di tranquillità, che hanno ancora solo sulle proprie spalle il totale carico della gestione della famiglia e dei figli e lavorano in aziende con una  organizzazione del lavoro rigida e complessa. Credo sia questa la ragione alla base dei dato che mostra come il  COVID abbia avuto anche un impatto importante sul divario occupazionale tra i generi, con un incremento maggiore della disoccupazione femminile”.

Trasparente, idee chiare supportate da una montagna di ore lavoro dove l’aspetto umano non ha mai smarrito il suo ruolo guida. Il Giappone non ha dubbi e si affida alle donne italiane.

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