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Sanità e Benessere Focus n°34

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Ricerca e Innovazione per ridurre le fragilità

di Maria Chiara Carrozza
Presidente CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche

La ricerca scientifica deve supportare la società nel combattere disuguaglianze, fragilità, divari. E nel catalizzare innovazione, inclusione, avanzamenti della conoscenza. Soprattutto sui fronti strategici della transizione ecologica, della digitalizzazione, della formazione e della salute.

Da un lato, la ricerca deve sviluppare anche progressi che in apparenza non hanno un’utilità o un profitto immediati; dall’altro, deve aiutare la diffusione di tecnologie low-cost e accessibili, arrivare alla pratica clinica, al “letto del paziente”. In realtà non si tratta di due obiettivi contrapposti poiché, come la pandemia ha reso evidente, per rispondere ai bisogni e per fronteggiare le emergenze, sanitarie e non, è importante capitalizzare proprio ciò che è stato sviluppato in passato, magari con scopi diversi o non subito definiti, secondo il principio della cosiddetta “serendipità”.

In questa cornice, la mia esperienza di ricercatrice è stata in gran parte declinata verso la ricerca biomedica, in particolare verso la riabilitazione e l’assistenza. Anche in questo settore, se si vuole portare ai pazienti il meglio dell’avanzamento scientifico non si può puntare solo al presente, occorre avere sempre lo sguardo proiettato al futuro: medicina rigenerativa, neuroimmunologia, bio-immagini, robotica, intelligenza artificiale sono stati capaci di produrre rivoluzionarie soluzioni a livello clinico proprio grazie a un sistema che ha saputo vedere più in là. È necessario muoversi nell’ottica di un sistema equilibrato tra sanità, ricerca traslazionale e di base; soggetti pubblici, profit e non profit; innovazione e assistenza. Mantenendo sempre alta l’attenzione verso gli ultimi, le persone più fragili, che devono diventare il benchmark del nostro impegno.

Se saremo capaci di concretizzare tale mo- dello, sfruttando utilmente gli investimenti senza pari in questi settori che l’Europa e il Pnrr consentono oggi di effettuare, potremo davvero aprire una nuova era. Già i robot ce lo hanno dimostrato: sono usciti dalla fabbrica e venuti ad abitare in mezzo a noi, nelle nostre case, nelle strade, negli ospedali, dentro il nostro stesso corpo. Dall’industry 4.0 ai robot sociali, da quelli per l’intrattenimento e l’uso domestico e personale (di cui l’International Federation of Robotics prevede un’esplosione nel prossimo futuro) fino a quelli per l’assistenza di anziani e persone con disabilità, costituiscono uno dei mercati e delle prospettive più promettenti dei prossimi decenni. Non nella forma degli assistenti umanoidi che si immaginavano un tempo ma, più probabilmente, in quella di dispositivi di consumo, domotici, da tavolo, magari dotati di minori capacità motorie ma con importanti prestazioni operative, cognitive e di ascolto: per esempio suggerire ricette, ricordare l’ora delle medicine, controllare l’abitazione. E poi c’è la frontiera dei robot indossabili, come l’esoscheletro e la tuta da lavoro che permettono di alleviare la fatica, contrastare le malattie usuranti, aiutare l’anziano o la persona paralizzata ad alzarsi dal letto, camminare, uscire di casa, fare la spesa.

La preoccupazione con cui si guarda ai rischi dell’automazione deve lasciare il posto a una maggiore fiducia nella ricerca e nell’innovazione, l’importante è sviluppare la robotica e la tecnologia lavorare avendo chiaro qual è la finalità del loro inserimento nella nostra vita quotidiana. Le opportunità di applicazione non mancano certo: dalla tele-riabilitazione all’assistenza sul territorio, dalla prevenzione al monitoraggio dei bio-marcatori, dall’analisi del movimento alle diagnosi precoci, fino al tema cruciale della sicurezza sul lavoro.

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