C’è un termine, nato negli anni ’70, che descrive con efficacia una delle più grandi sfide sanitarie del nostro tempo: diabesità. Coniato per indicare l’intima connessione tra diabete di tipo 2 e obesità, questo neologismo è diventato oggi un vero e proprio grido d’allarme per la salute pubblica. Non si tratta solo di due patologie diffuse: si tratta di un binomio sinergico, in cui l’una alimenta l’altra in un circolo vizioso che impatta milioni di vite. Secondo i dati più recenti, nel 2021 più di 2 miliardi di adulti nel mondo erano in sovrappeso o obesi: quasi la metà della popolazione adulta globale. Non sorprende, quindi, che anche il diabete sia in crescita esponenziale: si stima che entro il 2050 oltre 783 milioni di adulti nel mondo ne saranno affetti. Anche i bambini non sono risparmiati. L’obesità infantile è in aumento costante: oggi 1 bambino o adolescente su 5 presenta un eccesso di peso. Nei paesi ad alto reddito, la prevalenza raggiunge punte allarmanti, rendendo l’intervento precoce una priorità. Il tessuto adiposo non è soltanto un serbatoio di calorie: è un vero organo endocrino, capace di produrre ormoni, citochine e molecole infiammatorie. Quando il tessuto adiposo – in particolare quello viscerale – si espande in modo eccessivo, va incontro a disfunzioni che innescano un’infiammazione cronica di basso grado. Questo stato infiammatorio favorisce l’insulino-resistenza, ossia la ridotta capacità dell’organismo di rispondere all’insulina, l’ormone che regola la glicemia. Il pancreas, per compensare, produce più insulina. Ma a lungo andare, questa “sovrapproduzione” lo affatica, portando allo sviluppo del diabete di tipo 2. Esistono importanti differenze tra chi sviluppa diabete e chi no, pur in presenza di obesità. Il ruolo del grasso viscerale (più pericoloso) rispetto a quello sottocutaneo, la predisposizione genetica a una ridotta secrezione insulinica e altri fattori metabolici spiegano almeno in parte questa variabilità. L’obesità non è una condizione omogenea. Studi recenti propongono una nuova classificazione in “obesità clinica” e “obesità preclinica”, considerando la presenza o meno di complicanze metaboliche già attive. La combinazione tra obesità e diabete rappresenta un potente acceleratore del rischio cardiovascolare. L’infiammazione cronica, la disfunzione endoteliale, la pressione arteriosa elevata, l’albuminuria e l’aumento della rigidità arteriosa sono solo alcuni dei meccanismi coinvolti. Studi epidemiologici mostrano che ogni aumento di 5 kg/m² di BMI nei soggetti con diabete comporta un incremento significativo del rischio di mortalità cardiovascolare. Questo rende la gestione della diabesità una priorità anche in termini di prevenzione di infarti e ictus. Un tempo considerato raro, il diabete di tipo 2 è oggi in aumento anche nei bambini e adolescenti, specie nei contesti urbani e ad alto reddito. Si tratta di una forma più aggressiva, spesso associata a obesità severa e fattori di rischio cardiovascolare già presenti in età pediatrica. Un dato inquietante è che oltre il 50% dei bambini con diabete presenta almeno due fattori di rischio cardiovascolare già diagnosticabili, rendendo l’intervento tempestivo fondamentale. La buona notizia è che diabete e obesità sono ampiamente prevenibili. Lo dimostra lo studio finlandese DPS, in cui una semplice modifica dello stile di vita (alimentazione più sana, attività fisica regolare, perdita di peso) ha ridotto del 43% il rischio di sviluppare diabete. Oggi, accanto a dieta e movimento, sono disponibili nuove terapie farmacologiche, come gli agonisti del GLP-1, che permettono di agire su peso, glicemia e appetito. Nei casi più gravi, la chirurgia bariatrica rappresenta una soluzione efficace e duratura, anche nella prevenzione del diabete. Il futuro della lotta alla diabesità passa per la diagnosi precoce, la personalizzazione delle cure, l’educazione sanitaria nelle scuole e nei territori. Fondamentale è evitare il recupero del peso perso e garantire un supporto a lungo termine ai pazienti. Le nuove tecnologie e la medicina di precisione aprono scenari promettenti, con l’uso di biomarcatori, app per il monitoraggio e strategie integrate tra nutrizionisti, diabetologi e psicologi. La diabesità non è una condanna inevitabile, ma una sfida collettiva. Richiede azioni coordinate, consapevolezza sociale e politiche sanitarie lungimiranti. Ognuno di noi, come cittadino, operatore sanitario o decisore politico, può contribuire. Perché combattere la diabesità significa difendere la salute, l’autonomia e la qualità della vita di milioni di persone, oggi e domani.

Diabesità: la doppia epidemia silenziosa del nostro tempo
Prof.ssa Raffaella Buzzetti
Presidente Società Italiana di Diabetologia
Presidente Società Italiana di Diabetologia

Soddisfatto? Continua a leggere gli altri editoriali
Informati su tutte le news in ambito medico e sanitario
Leggi altri numeri

