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SCREENING TUMORE ALLA PROSTATA: I BIOMARCATORI CHE AIUTANO DIAGNOSI E PERCORSI TERAPEUTICI

Nuovi strumenti di diagnosi per migliorare la selezione dei pazienti che realmente necessitano di biopsia grazie ad una migliore stratificazione del rischio limitando i danni potenziali della sovra-diagnosi

In Italia il carcinoma della prostata è la neoplasia più frequente tra i maschi e rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età. La sopravvivenza per questa neoplasia è in media del 92% a 5 anni dalla diagnosi. Un approfondimento con la professoressa Daniela Terracciano, Docente di Patologia Clinica presso l’Università di Napoli Federico II e il dottor Ugo Trama Responsabile della U.O.D. 08 “Politica del Farmaco e Dispositivi” presso la Direzione Generale per la tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale Campania.

Professoressa Terracciano qual è il ruolo del PSA nello screening del tumore alla prostata?

Il PSA non è lo strumento ideale di screening. Questo marcatore tumorale, infatti, ha una limitata specificità diagnostica, dal momento che il suo livello nel sangue può aumentare anche per cause diverse dal cancro come la prostatite, una malattia infiammatoria della prostata o l’ipertrofia prostatica benigna, una condizione caratterizzata dall’aumento di volume della prostata, frequentissima negli uomini oltre i 50 anni. Per tale motivo, l’utilizzo del PSA su larga scala nelle procedure di screening ha determinato la diagnosi e il trattamento di un numero elevato di tumori indolenti che non avrebbero causato la morte dei pazienti, con impatto negativo sia per la qualità di vita dei pazienti sia per i costi per i sistemi sanitari nazionali.

Ci sono altri biomarcatori/test che possono migliorare la selezione dei pazienti che realmente necessitano di biopsia?

Si, tra questi uno dei più promettenti è il phi, un test non invasivo che richiede un semplice prelievo di sangue. Il PHI è una combinazione matematica di PSA, PSA libero e dell’isoforma -2proPSA. Tale combinazione restituisce un indice di rischio che il paziente abbia un cancro della prostata clinicamente significativo. I dati presenti in letteratura sono concordi nell’indicare che il phi ha una specificità diagnostica significativamente maggiore sia del PSA sia del rapporto PSAlibero/PSA. Determinare i livelli di phi si è dimostrato utile soprattutto in uomini di almeno 50 anni, con valori di PSA compreso tra 2 e 10 ng/ml, nei quali valori di PHI elevati suggeriscono un rischio alto di malattia aggressiva e quindi la necessità di eseguire una biopsia. Se usato di routine, il phi potrebbe evitare un numero consistente di biopsie non necessarie senza perdere l’identificazione di tumori clinicamente significativi.

Qual è l’interazione tra biomarcatori e diagnostica per immagini: andiamo verso un approccio diagnostico personalizzato?

I dati presenti in letteratura indicano che biomarcatori e diagnostica per immagini sono test complementari, non competitivi. L’utilizzo combinato di biomarcatori e diagnostica per immagini migliora significativamente l’identificazione di tumori di alto grado rispetto all’utilizzo dei singoli test. In aggiunta, evidenze recenti suggeriscono che gli approcci basati sull’intelligenza artificiale favoriranno l’uso interconnesso di biomarcatori ed imaging. Questa strategia potrebbe consentire di definire la categoria di rischio del paziente alla diagnosi iniziale, fornendo al clinico uno strumento utile a scegliere per ciascun paziente la strategia terapeutica migliore rapportando l’aggressività del tumore con l’invasività del trattamento.

Dottor Trama in percorsi assistenziali  come  questi la Regione che ruolo gioca?

Il ruolo della Regione è fondamentale, il nostro compito è quello di ottimizzare le risorse, quindi valorizzare il lavoro scientifico dei nostri professionisti con un organizzazione amministrativa sanitaria che permetta di rendere efficaci e di mettere in pratica nuovi percorsi sanitari. Gli investimenti (che provengono dal prelievo fiscale – ndr-)  devono essere utilizzati in modo da rendere disponibili quelle “innovazioni” che garantiscano la migliore offerta di salute per i cittadini, offrendo un valore condiviso per tutti gli interessati, pazienti in primis, ma anche per i professionisti e l’intero sistema sanitario.

Dottor Trama quando può essere considerata “di valore” una innovazione  per pazienti e per il SSR?

Devono coesistere due elementi, uno di natura scientifica e l’altro di natura amministrativo-sanitaria. Grazie al materiale prodotto dai comitati etici e proposti dalle società scientifiche rispetto a risultati di test/biomarcatori è possibile  prendere decisioni rispetto a percorsi validati che abbiano un impatto significativo in termini di riduzione di rischio per i pazienti e miglioramento della qualità di vita grazie a diagnosi più appropriate. L’altro elemento invece riguarda l’aspetto amministrativo sanitario: una innovazione di valore permette di mettere a punto  procedure più snelle ed efficaci per la presa in carico dell’assistito con vantaggi rispetto al percorso già in essere.

 

 

Daniela Terracciano

Professoressa di Patologia Clinica presso l’Università di Napoli Federico II

Mail: daniela.terracciano@unina.it

 

Ugo Trama

Dirigente STAFF 93 e Dirigente UOD06 – Politica del Farmaco e Dispositivi della D.G. per la Tutela della Salute e  Coordinamento del S.S.R.

Tel. 081 7969405

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