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Il difetto interatriale nell’adulto: dalla diagnosi all’intervento

Come riconoscere questa malformazione congenita, quando intervenire e con quale tipologia di terapia

La maggior parte delle cardiopatie congenite oggi viene scoperta in età pe-diatrica e talvolta anche prima della nascita. Tuttavia alcune patologie, che sono totalmente asintomatiche, possono sfuggire alla diagnosi ed essere quindi diagnosticate per la prima volta in persone adulte. Le più comuni sono la valvola aortica bicuspide e il difetto interatriale (DIA), di cui ci parla il Dottor Andrea Donti, Responsabile della Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva dell’AO-Universitaria di Bologna Policlinico S. Orsola-Malpighi.

Dottore, come si arriva alla diagnosi nel paziente adulto?

Mentre nel bambino il DIA è quasi sempre asintomatico, nell’adulto questa malformazione può determinare la comparsa di sintomi. I più comuni sono l’affanno di respiro durante l’attività fisica, ridotta tolleranza allo sforzo oppure il batticuore in conseguenza di aritmie e in particolar modo la fibrillazione atriale. Talvolta invece il sospetto diagnostico può essere del tutto occasio-nale: ad esempio riscontrando una dilatazione del cuore in una lastra del to-race oppure ascoltando un soffio cardiaco ad una visita clinica di routine o ancora vedendo l’aspetto patologico in un elettrocardiogramma eseguito per motivi di screening. La diagnosi richiede a questo punto di essere confermata ed approfondita con altri esami: soprattutto l’ecocardiografia e solo raramente una Tac o una Risonanza per definire esattamente il difetto e la strategia te-rapeutica.

È sempre necessario intervenire su questo difetto in un adulto?

Esistono casi rari, con un importante aumento della pressione polmonare, nei quali può essere preferibile non intervenire perché l’intervento potrebbe risul-tare più pericoloso della patologia stessa. In generale però, il consiglio è sempre quello di chiudere il difetto, scegliendo tra due opzioni terapeutiche: la chirurgia tradizionale in circolazione extracorporea oppure la chiusura transcatetere utilizzando dei dispositivi chiamati “ombrellini” che vengono tra-sportati e posizionati all’interno del cuore attraverso piccoli cateteri inseriti dalla vena femorale a livello dell’inguine. Gli ombrellini attualmente disponibili hanno caratteristiche diverse fra loro: in base alla forma e alle dimensioni del

difetto, viene scelto l’ombrellino che si ritiene maggiormente in grado di adat-tarsi all’anatomia del singolo paziente. Una volta nel cuore questi dispositivi vengono rivestiti dalle cellule che rivestono l’interno del cuore e inglobati all’interno del setto interatriale, in un tempo di circa sei mesi, durante il quale il paziente deve seguire una terapia farmacologica antiaggregante. È bene sottolineare che non tutti i tipi di difetto interatriale possono essere curati con entrambe le terapie: il più comune di tutti, l’ostium secundum, oggi nell’80% dei casi si può trattare con la chiusura transcatetere. Altri tipi di difetto richie-dono, invece, ancor oggi come unica soluzione la chirurgia tradizionale che, comunque, ha fatto grandi passi avanti e ha dei rischi molto bassi a fronte di ottimi risultati. La scelta dunque viene fatta in base al tipo di difetto. Dove è possibile, si preferisce la chiusura attraverso il catetere, perché ha degli in-dubbi vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale: elimina i rischi della chirur-gia, accorcia i tempi di degenza, ma soprattutto diminuisce quelli di recupero. Tuttavia anche la chiusura transcatetere è una procedura delicata e non è priva di rischi che, seppur minimi (siamo nell’ordine di uno 0,2-0,3%), pos-sono avere conseguenze rilevanti come la necessità di ricorrere alla chirurgia tradizionale per una complicanza acuta.

Mi preme quindi sottolineare come sia fondamentale rivolgersi sempre – sia per la procedura in sé che per la scelta del tipo di terapia – a strutture che ab-biano maturato una certa esperienza e un volume di interventi significativo nel campo del trattamento sia cardiologico che cardiochirurgico delle cardio-patie congenite.

Il difetto interatriale (DIA)

È una malformazione congenita che consiste nella presenza di un foro tra i due atri del cuore con conseguente passaggio di sangue dall’atrio sinistro all’atrio destro, quindi nel ventricolo destro e infine nei polmoni. Se il difetto è ampio, comporta nel tempo una dilatazione nella parte destra del cuore e un eccesso di sangue all’interno del polmone. A seconda delle dimensioni e della posizione del foro, si hanno diverse tipologie di DIA. Quello più diffuso è l’ostium secundum. Oggi, nella maggior parte dei casi, questo tipo di malfor-mazione si tratta senza ricorso alla chirurgia tradizionale bensì occludendo il DIA con dispositivi comunemente detti “ombrellini” inseriti da una vena dell’in-guine.

DONTI

Dott. Andrea Donti

Resp. della Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva dell’AO-Universitaria di Bologna

Policlinico S. Orsola-Malpighi

Via Albertoni, 25 – Bologna

Tel. 051 2143437

email: segr.card.ped@aosp.bo.it

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