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Prevenzione e controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza: facciamo il punto

SECONDO L’OMS LE ICA HANNO UN IMPATTO CLINICO E SOCIALE MOLTO RILEVANTE IN TERMINI DI PROLUNGAMENTO DELLA DEGENZA, DISABILITÀ A LUNGO TERMINE, MORTALITÀ, AUMENTO DELL’ANTIBIOTICO-RESISTENZA E SPESA SANITARIA

A spiegarci cosa sono le ICA, come prevenirle e trattarle, il Prof. Nicola Petrosillo, Responsabile del servizio di controllo delle Infezioni e Consulenze Infettivologiche presso il Policlinico Universitario del Campus Bio-Medico
di Roma, e il Prof. Massimo Carlini, Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma e Presidente Eletto della Società Italiana di Chirurgia.

Prof. Nicola Petrosillo Resp. Servizio di controllo delle Infezioni e Consulenze Infettivologiche Policlinico Universitario Campus Bio-Medico
Professor Petrosillo, cosa sono le ICA?

“Sono quelle infezioni che non sono presenti nel paziente prima del ricovero in una struttura assistenziale e che insorgono durante o dopo il ricovero a causa dell’ospedalizzazione o delle procedure invasive che sono state eseguite durante la stessa e che hanno un impatto anche grave sulla morbosità del paziente.

Senza contare l’impatto sociale legato a un aumento delle spese sanitarie per i ricoveri e la minore disponibilità di posti letto per altri degenti. A questo si aggiungono, nel nostro Paese, la complessità dei pazienti, spesso fragili, immunodepressi, anziani, con altre malattie concomitanti e quindi più facilmente esposti al rischio di contrarre un’infezione e, non meno grave, un uso improprio degli antibiotici.

Gli esiti dell’indagine effettuata dai Centri Europei per il controllo delle infezioni nel 2016/2017 parlano di una media di 6,5 su 100 persone ricoverate con un’ICA in Europa, l’Italia si colloca nella media con 6,5/6,7”.

Quali sono le principali ICA?

“Al primo posto ci sono le infezioni delle basse vie respiratorie che rappresentano un quarto delle ICA; al secondo posto a pari merito abbiamo le infezioni del sito chirurgico e le infezioni urinarie, che rappresentano il 18% del totale; al terzo posto c’è l’infezione del torrente circolatorio – circa il 10% – e infine le infezioni gastrointestinali, che rappresentano circa l’8/9%, di cui la metà da Clostridium difficile”.

Cosa si può fare per prevenirle e trattarle?

“Ci sono una serie di interventi di prevenzione e controllo, linee guida e  raccomandazioni da seguire e l’utilizzo di procedure corrette. Si tratta tuttavia di un processo molto delicato che richiede grande esperienza e grandi sforzi da parte delle strutture assistenziali: non basta istituire un comitato di controllo delle infezioni, bisogna mettere in atto sistemi di sorveglianza, prevenzione e controllo, con messaggi chiari su come aumentare i livelli di igiene e antisepsi nell’ospedale, cominciando da un’adeguata igiene delle mani e da un’adeguata disinfezione dello strumentario.

L’Italia ha una prevalenza di multiresistenze in ospedale tra le più elevate in Europa; per fare fronte ad un impegno di prevenzione e controllo così importante occorre grande consapevolezza e serietà, ma anche forte “commitment” a livello locale, regionale e nazionale”.

Prof. Massimo Carlini Direttore Dip. di Chirurgia Generale Ospedale Sant’Eugenio

Prof. Carlini, qual è la situazione in Chirurgia? 

“Le infezioni in Chirurgia sono sempre esistite; certamente alcuni decenni fa erano molto più gravi perché non c’erano terapie specifiche adeguate.

Oggi abbiamo distinto diversi gruppi di infezioni: quelle che il paziente genera per i propri batteri che alberga a seguito di procedure chirurgiche, e all’interno di questo primo gruppo, vanno distinti gli interventi che vengono eseguiti in forma programmata e quelli invece, in regime di urgenza.

Gli interventi fatti in maniera programmata a loro volta vanno divisi in interventi su organi “puliti” e interventi su organi che normalmente albergano germi. C’è poi un secondo gruppo di pazienti che, indipendentemente dal tipo di intervento che subisce, ha un quadro clinico già gravato da altre comorbilità e quindi è più recettivo al rischio di infezioni, soprattutto se si trova in terapia intensiva”.

 

Quali sono le sfide future?

“La prima è portare i pazienti a interventi chirurgici programmati più puliti possibili senza fare antibiotico-profilassi irrazionali; la seconda è avere ambienti in cui non proliferino i germi ospedalieri; la terza è fare sempre ricorso  all’Infettivologo che, attraverso le colture batteriche del sangue e dei vari fluidi dell’organismo, riesca a identificare il germe e possa fare un’antibiotico-terapia corretta. L’OMS stima che, se non si seguiranno queste indicazioni, nel 2050 ci saranno circa 10 milioni di morti per infezioni batteriche da terapia antibiotica”.

 

FONTE: Salute&Benessere efocus n°32

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