Quando può esserci una relazione tra ischemie senza causa apparente e questa anomalia cardiaca e come intervenire
Pazienti giovani, sportivi, con uno stile di vita sano e nessun fattore di rischio cardiovascolare che improvvisamente hanno uno o più episodi di ischemia cerebrale. Una delle possibili cause può e deve essere ricercata in un’ano-malia morfologica del cuore, molto più diffusa tra la popolazione (circa il 20%) di quanto si possa immaginare: il forame ovale pervio che, oggi, può essere risolto con successo grazie a una procedura mini invasiva e risolutiva, come spiega il Dottor Mario Carminati, Cardiologo dell’I.R.C.C.S. Policlinico San Donato (MI).
Professore, cosa si intende per forame ovale pervio?
Il forame ovale pervio (PFO) è un’anomalia congenita del cuore che consiste nella persistenza di un foro che mette in comunicazione l’atrio destro con l’atrio sinistro del cuore. Fisiologicamente il forame è pervio durante la vita fe-tale ma, subito dopo la nascita, la membrana del forame ovale si accolla alla parte muscolare del setto interatriale e quindi non avviene più alcuna comuni-cazione tra i due atri. Il mancato accollamento determina questa anomalia.
Qual è l’interesse per questa anomalia nella pratica clinica?
È legato agli eventi ischemici cerebrali cosiddetti criptogenetici, ossia per i quali apparentemente non è identificata una causa dimostrata. In alcuni casi, infatti, questo tipo di evento può essere potenzialmente messo in relazione con la pervietà del forame ovale sulla base del presunto meccanismo di em-bolia paradossa: un’ischemia cerebrale può essere, infatti, determinata da un trombo che si forma nel sistema venoso profondo, si stacca dalla parete della vena, diventa un embolo, arriva nell’atrio destro, attraverso il forame ovale passa in quello sinistro, quindi nel ventricolo sinistro, poi nell’aorta e da lì in un’arteria periferica, ad esempio un’ arteria cerebrale. Da qui la relazione tra le due patologie. Quindi, quando un evento ischemico cerebrale avviene senza causa apparente, soprattutto in una persona giovane, si procede con una serie di accertamenti per cercarne l’eventuale causa e tra questi si va an-che alla ricerca della pervietà del forame ovale.
Come si esegue la ricerca del forame?
Si effettua un’ecocontrastografia: tramite un’ecocardiografia o un doppler transcranico si inietta in una ven
soluzione fisiologica) che provoca un effetto di bollicine (bubble test). Normal-mente se non c’è una comunicazione tra atrio destro e sinistro le bollicine ri-mangono confinate nel cuore destro. Se, invece, c’è uno shunt ossia un pas-saggio di bollicine da un atrio all’altro, si conferma la pervietà del forame. E si conferma quindi anche la potenzialità che si sia verificata un’embolia para-dossa. Se dunque non è possibile affermare che l’evento ischemico sia stato causato da un’embolia, tuttavia questa probabilità è proporzionalmente più alta quanto più giovane è il paziente e quanto più non vengano identificati al-tri fattori di rischio cardiovascolari.
A questo punto come si può intervenire?
Per avere una diagnosi definitiva bisogna eseguire anche un ecocardio-gramma transesofageo, che permette una definizione più accurata della mor-fologia del setto interatriale. Una volta completato il workup diagnostico, la te-rapia “classica”, conservativa, che si può mettere in atto, è di tipo farmacolo-gico antiaggregante, che ha lo scopo di ridurre il rischio di formazione di trombi. Viceversa si può decidere di intervenire optando per la chiusura mec-canica del forame ovale. Dagli ultimi studi clinici, infatti, è stato dimostrato che questa procedura, applicata a un gruppo selezionato di pazienti con de-terminate caratteristiche – giovani, senza altri fattori di rischio cardiovascolari e che hanno avuto uno o più eventi ischemici cerebrali – sia più efficace nel prevenire recidive rispetto alla sola terapia farmacologica.
In cosa consiste l’intervento?
La procedura viene eseguita pungendo la vena femorale per introdurre un ca-tetere che arriva fino all’interno del cuore dove viene posizionato un occlu-sore sotto controllo fluoroscopico (ossia con monitor radiologici) e anche con un monitoraggio ecocardiografico. Si tratta di un intervento solitamente coro-nato da successo, con rischi di complicanze molto bassi e che richiede un ri-covero molto breve: in un paio di giorni il paziente può tornare a casa e ri-prendere la sua vita normale. Il device introdotto nell’arco di qualche mese viene endotelizzato, cioè ricoperto da uno strato di cellule che l’organismo co-struisce e che inglobano l’occlusore nei tessuti dell’organismo in modo defini-tivo. Soprattutto nelle persone molto giovani questa procedura, seguita da una terapia antiaggregante per un periodo limitato di circa 6 mesi, è sicura-mente una soluzione efficace e definitiva rispetto al dover essere sottoposti a vita ad una terapia farmacologica.
Dott. Mario Carminati
Responsabile Unità Operativa di
Cardiologia Pediatrica e Congeniti Adulti
Ospedale I.R.C.C.S. Policlinico San Donato
Piazza Edmondo Malan, 2 –
S. Donato Milanese (MI)
Tel. 02-52774531
Ok ottimo come sempre il prof Carminati