La malattia diverticolare, caratterizzata dalla presenza di diverticoli nel colon, si manifesta con dolore addominale e altri sintomi. La diverticolosi, la semplice presenza di diverticoli, può evolvere in diverticolite, un’infiammazione acuta che negli ultimi anni si sta manifestando in fasce di età sempre più giovani.
La malattia diverticolare è una sindrome clinica caratterizzata da un insieme di sintomi comuni ad altre patologie gastroenterologiche causati dalla presenza dei diverticoli all’interno del colon. A volte possono verificarsi anche altri sintomi, come il dolore intenso nei quadranti inferiori o febbre. Ne abbiamo parlato con il Prof. Antonio Tursi, Dirigente Responsabile del Servizio di Gastroenterologia Territoriale della ASL BAT (Barletta-Andria-Trani) e Professore Aggregato di Gastroenterologia Territoriale all’Università Cattolica di Roma.
Diverticolite e diverticolosi: qual è la differenza e quali i trattamenti previsti?
«La diverticolosi è la semplice descrizione dell’alterazione anatomica di base e descrive la presenza dei diverticoli all’interno del nostro colon. La diverticolite identifica, invece, un processo infiammatorio acuto dei diverticoli. Di conseguenza, un paziente con diverticolosi può andare incontro a una diverticolite, cioè un’infiammazione acuta dei diverticoli. Il paziente con diverticolite non può non avere diverticoli, cioè l’alterazione anatomica di base, fattore già presente nella gran parte dei soggetti ultrasettantenni. Negli ultimi anni stiamo notando un progressivo abbassamento dell’età di insorgenza della diverticolosi ma, soprattutto, della diverticolite, negli under 40. I motivi sono da correlarsi verosimilmente all’aumento dell’obesità nelle classi più giovani, al consumo sempre più frequente di farmaci antinfiammatori. Da un punto di vista terapeutico si è sempre pensato che gli antibiotici fossero i farmaci da prescrivere in questi pazienti. Negli ultimi anni, sulla base delle nuove coscienze fisiopatologiche, sappiamo che un ruolo importante ce l’hanno non solo le alterazioni anatomiche ma anche i batteri che sono presenti all’interno del nostro lume intestinale. Dati interessanti stanno venendo fuori oggi dall’uso dei probiotici, cioè dei batteri buoni come singoli ceppi o come miscele di ceppi che possono esercitare un effetto benefico, rimodulando le caratteristiche della flora microbica intestinale».
Considerando gli studi clinici sul butirrato di sodio per la gestione delle malattie del colon, quali sono le nuove formulazioni che offrono vantaggi rispetto alle precedenti e come sono state valutate nel contesto della malattia diverticolare del colon?
«Il butirrato di sodio fa parte delle sostanze che stiamo studiando negli ultimi anni. È un prodotto sempre preso in considerazione dai clinici per la gestione delle malattie del colon. Ma ha un limite: gli effetti collaterali sgradevoli legati al meteorismo o alla flatulenza. Spesso i pazienti iniziano la terapia e poi tendono a dimezzarla, fino a toglierla del tutto. Oggi abbiamo nuove formulazioni che hanno un duplice vantaggio: da un lato permettono il rilascio del butirrato esclusivamente nel colon, dall’altro ci permettono di avere una concentrazione sufficientemente adeguata per far sì che il butirrato possa espletare il suo effetto terapeutico anche all’interno del colon. Questo fattore non poteva rimanere al di fuori della valutazione anche nell’ambito della malattia diverticolare del colon. Nei mesi scorsi ho coordinato uno studio, che ha coinvolto diversi medici di medicina generale, con la collaborazione dell’Università di Bologna, nel quale abbiamo studiato l’effetto di una formulazione di un butirrato di sodio a rilascio ritardato nei pazienti affetti da malattia diverticolare sintomatica non complicata. Due i punti principali: l’azione del butirrato può rimodulare la quantità di batteri, non solo in termini quantitativi ma anche in termini qualitativi, e questo si traduce nella riduzione della massa totale di batteri; il secondo è che funziona paradossalmente meglio nei pazienti che hanno sintomi più importanti».
In percentuale, quanti pazienti hanno bisogno di un intervento ambulatoriale piuttosto che un ricovero ospedaliero e quali sono i soggetti più a rischio?
«Circa l’80% e questo rappresenta anche un vantaggio perché dobbiamo considerare che l’ospedale è un ambiente in cui è facile che si possano contrarre infezioni nosocomiali legate all’ambiente ospedaliero. L’obesità rappresenta uno dei fattori di rischio. Il tessuto adiposo in eccesso produce una serie di sostanze pro-infiammatorie chiamate citochine che scatenano un’infiammazione sistemica, fattore che sta alla base delle problematiche legate all’obesità. Di conseguenza, il rischio diabetico o cardiovascolare si associano a quello legato ai diverticoli. Bisogna, inoltre, sfatare alcuni miti. Un fattore importante è seguire una dieta completa. La nostra buona e cara dieta mediterranea funziona benissimo. Al contrario, la western diet può rappresentare un fattore di rischio per la malattia diverticolare».
In che modo le nuove tecnologie possono dare un importante contributo?
«Per esempio, l’utilizzo dell’ecografia dell’intestino. Purtroppo, oggi, è una metodica non adeguatamente sviluppata in ambito territoriale ma potrebbe essere estremamente utile come esame di primo livello per capire se il paziente può avere un problema di diverticoli. Questa è importante anche perché è una problematica che, mentre in ambito occidentale è una problematica che è molto frequente ma ha raggiunto un plateau di incidenze, cioè il numero di nuovi casi annuali è più o meno sovrapponibile».
Contatti: Prof. Antonio Tursi Dirigente Responsabile del Servizio di Gastroenterologia Territoriale della ASL BAT (Barletta-Andria-Trani) Via Fornaci, 203, 76123 Andria BT 0883.577853 antonio.tursi@aslbat.it