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Diagnosi precoce e terapie mirate per la cura del Carcinoma Prostatico

È LA PRIMA PATOLOGIA ONCOLOGICA MASCHILE. IL TRATTAMENTO VARIA IN BASE ALLE CARATTERISTICHE DELLA MALATTIA E SPAZIA DA UN VIGILE MONITORAGGIO ALLA CHIRURGIA, DALLA RADIOTERAPIA ALLA TERAPIA ORMONALE FINO ALLA CHEMIOTERAPIA.

A parlarcene, il Dott. Nicolò Borsellino, Direttore dell’UOC di Oncologia Medica dell’Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli di Palermo e Coordinatore del PDTA Regionale per i tumori della prostata all’interno della Rete Oncologica siciliana.

Dott. Nicolò Borsellino Direttore UOC di Oncologia Medica dell’Ospedale Buccheri La Ferla Fatebenefratelli
Dottore, come si inquadra il Carcinoma Prostatico in Italia? 

“Si tratta di una patologia che insorge soprattutto nell’età più avanzata – il picco di incidenza si ha, infatti, dopo i sessant’anni, anche se non è molto raro trovarlo anche in età giovanile – e si colloca al primo posto tra i tumori nel sesso maschile. Nel 2020 in Italia sono stati stimati circa 36 mila nuovi casi di diagnosi e nel 2021 circa 7.500 decessi per questa malattia. Oggi nel nostro Paese convivono con un tumore prostatico 564 mila persone”.

Quali sono i sintomi a cui fare attenzione? 

“Nella fase iniziale il tumore della prostata in genere è asintomatico. Con il progredire della malattia si possono avere dei disturbi a livello locale, con sintomi caratteristici come la diminuzione della potenza del getto urinario, la nicturia ossia la necessità di andare in bagno sia di giorno che di notte, e ancora, l’ematuria e una sensazione dolorosa di fastidio quando si urina; infine, può comparire un dolore a livello perineale.

Nelle fasi più avanzate, invece, essendo lo scheletro la prima sede di metastatizzazione, è caratteristico lo sviluppo di dolore osseo localizzato principalmente a livello della colonna vertebrale. In tutti questi casi bisogna rivolgersi subito al proprio medico curante o meglio ancora direttamente allo specialista urologo”.

Quali sono gli esami a cui sottoporsi e quanto è importante la prevenzione? 

“Oggi più che la prevenzione primaria sui fattori di rischio, è la prevenzione secondaria, cioè la possibilità di diagnosticare un tumore in fase precoce, lo strumento più adeguato a cambiare la storia naturale della malattia e ridurne la mortalità, grazie a una serie di esami come il dosaggio del PSA, la visita digito-rettale o l’ecografia prostatica. Sicuramente il dosaggio periodico del PSA sarebbe il test più idoneo a uno screening di massa.

Tuttavia, affinché una procedura di screening di massa sia proponibile, è necessario che l’efficacia, vale a dire la riduzione della mortalità legata a questo screening e il rapporto fra costi e benefici, sia confermata oltre ogni dubbio da grandi studi clinici.

Per quanto riguarda il carcinoma prostatico, ad oggi i risultati di tre trial hanno portato a concludere che uno screening organizzato basato sulla PSA avrebbe assai poca probabilità di produrre un impatto significativo sulla mortalità legata al cancro e ancora meno sulla mortalità globale mentre porterebbe, con certezza, degli effetti collaterali negativi dovuti alla sovradiagnosi, ossia a una diagnosi di una lesione tumorale che, seppur confermata istologicamente, non sarebbe mai arrivata all’attenzione del medico nel corso della vita del paziente.

Per questo oggi la maggior parte delle Società Scientifiche ritiene che non esistano i presupposti per proporre uno screening organizzato su vasta scala, mentre ha un atteggiamento più flessibile sull’uso spontaneo o opportunistico del PSA purché i pazienti che lo richiedono vengano adeguatamente informati sui benefici ma anche sui rischi che una diagnosi di questo tipo può portare.

Oggi lo screening opportunistico è consigliato in un intervallo di età compreso tra i 50 e i 70/75 anni, prima solo per quei pazienti a rischio, ad esempio per familiarità”.

Quali sono oggi le opzioni terapeutiche disponibili? 

“Se il tumore è in fase localizzata, le terapie variano a seconda dell’estensione e dell’aggressività della malattia e sono fondamentalmente tre: la sorveglianza attiva, la chirurgia e la radioterapia.
La prima si utilizza per tenere sotto controllo un tumore a basso rischio, di cui si considera l’indolenza, per cui il paziente viene seguito nel tempo con controlli strumentali, proprio per evitare il fenomeno della sovra-diagnosi.

Nei pazienti con rischio di recidiva locale superiore al 40%, può essere indicato sia un trattamento radioterapico esterno con l’acceleratore lineare o in associazione o meno a una terapia ormonale di deprivazione androgenica; sia l’intervento chirurgico di prostatectomia seguito, nel caso in cui ci fossero dei linfonodi, dalla terapia ormonale.

Per i pazienti, invece, in progressione di malattia, che vanno incontro a un peggioramento o addirittura alla comparsa di metastasi dopo la deprivazione androgenica, le strategie terapeutiche attualmente disponibili comprendono una terapia di seconda linea con la chemioterapia o l’utilizzo di altri farmaci di tipo ormonale.

Esistono poi nuove opzioni terapeutiche per quei pazienti che presentano tumori non metastatici resistenti alla castrazione. Un’ultima importante novità riguarda una terapia target – già sperimentata e che sarà presto approvata anche in Italia – con il lutezio, un radionuclide che ha dimostrato un notevole vantaggio in termini di sopravvivenza libera da malattia in pazienti selezionati”.

 

FONTE: Sanità&Benessere efocus n°32

 

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