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Il ruolo rivoluzionario della Radiologia Interventistica in Oncologia

Questa branca della medicina è ormai parte integrante dell’attività clinica nella cura del cancro, offrendo molte opportunità terapeutiche in alternativa o in associazione alla tradizionale Chirurgia.

 

A parlarcene, uno dei massimi esperti del campo, il Dott. Franco Orsi, Direttore della Divisione di Radiologia Interventistica dell’Istituto Europeo di Oncologia, un modello organizzativo ancora unico in Italia, che ad oggi costituisce un punto di riferimento importante per i pazienti di tutta Italia.

 

Dottore, cosa ha dato la spinta allo sviluppo della Radiologia Interventistica in Oncologia?

“Questa super-specializzazione della Radiologia, diventata oggi parte integrante dell’attività clinica in ambito oncologico, offre molte opportunità terapeutiche, in alternativa o in associazione alla tradizionale Chirurgia, senza per questo ridurre il ruolo di quest’ultima, che sicuramente funziona ed è efficace. Negli ultimi anni, tuttavia, ci si è posti il problema di come poter rendere, a parità di risultati, l’atto terapeutico meno invasivo per il paziente. Sicuramente anche la Chirurgia ha fatto molti passi avanti in questo senso, ma ciò su cui si sta lavorando oggi nei Centri di Riferimento sono proprio le tecniche alternative non chirurgiche, che garantiscano lo stesso risultato della Chirurgia, ma con una invasività notevolmente inferiore”.

 

Cosa contraddistingue la Radiologia Interventistica?

“Le tecniche utilizzate dalla Radiologia Interventistica in ambito Oncologico richiedono una grande abilità e cultura nell’ambito dell’imaging, abbinandole alle indispensabili competenze cliniche. Il Radiologo Interventista non è, pertanto, solo un esperto di tecnologie d’avanguardia, ma conosce a fondo gli aspetti clinici del paziente e della sua patologia, così da poterlo gestire nel suo complesso, in tutto il percorso clinico. L’utilizzo delle più sofisticate tecniche di imaging si rende invece necessario per guidare, con precisione millimetrica, gli strumenti che consentono il trattamento mininvasivo dei tumori. La difficoltà principale, ad oggi, è quella di far conoscere questa opportunità al pubblico che, invece, vede ancora nella Chirurgia l’unica opzione terapeutica disponibile, per la cura delle patologie oncologiche. Si tratta di una lenta ed inarrestabile evoluzione in ambito medico, alimentata in parte dal costante miglioramento e perfezionamento delle tecniche mininvasive e alla loro continua validazione nel tempo, dall’altra dalla necessità, in ambito oncologico, di ricorrere ad approcci terapeutici sempre meno invasivi. Dagli anni ’70, quando era giustificato un approccio terapeutico massimamente tollerabile, si è approdati al concetto attuale della terapia efficace, il meno invasiva possibile, nel rispetto dell’integrità dell’organismo e soprattutto, nella crescente consapevolezza che la patologia oncologica non è costituita solo da ciò che viene identificato nella “massa tumorale”, eventualmente eliminabile con l’intervento chirurgico. È oggi sempre più chiaro, invece, che si tratti di un problema clinico estremamente più complesso e articolato e del quale, troppo spesso, la massa tumorale ne rappresenta solo la manifestazione clinica più evidente, l’epifenomeno. Per questo, approcciare la patologia oncologica in modo sempre meno invasivo, garantisce la possibilità di ripetere nel tempo interventi mininvasivi, evitando in molte circostanze di esporre il paziente a ripetuti interventi chirurgici invasivi, qualora la malattia si ripresentasse e nell’ottica di una sua cronicizzazione. In questo ambito, ancora una volta, l’imaging gioca un ruolo fondamentale, grazie alla sua incessante evoluzione, che rende oggi possibile l’identificazione di tumori sempre più piccoli ed in fase sempre più precoce. Ovviamente, a questa diagnosi precoce dovrebbe poi corrispondere una tecnica di intervento diversa e più appropriata, rispetto all’invasività della più tradizionale Chirurgia la quale, certamente, rimarrebbe indicata per i tumori diagnosticati in una fase più avanzata, di dimensioni maggiori. Se dunque un tempo si ricorreva alla Radiologia Interventistica solo quando la Chirurgia “scartava” il paziente, ritenendolo inoperabile e relegando quindi le tecniche mini-invasive al solo ruolo di palliazione, oggi questo paradigma si sta completamente rovesciando in molti ambiti oncologici: in una fase molto precoce di malattia, quando si è in grado di trattarla con la minima invasività e la massima efficacia, il paziente dovrebbe essere trattato esclusivamente con le tecniche mini invasive. Se, invece, la diagnosi avviene tardivamente oppure, per caratteristiche dimensionali o sede del tumore, queste rischiano di non essere radicali, allora l’opzione chirurgica resta elettiva e per ora, insostituibile”.

 

C’è un approccio multidisciplinare anche nella Radiologia Interventistica Oncologica?

“Certamente. Questa “rivoluzione” richiede la partecipazione di diversi specialisti che collaborano a una strategia terapeutica più ampia e a una gestione del paziente a 360°, seguendolo prima e dopo l’intervento e garantendogli supporto durante l’intero percorso clinico”. È ormai chiaro che non si può più parlare di “terapia”, ma piuttosto di “percorso terapeutico”, costituito dall’avvicendarsi, secondo schemi ragionati e preventivamente definiti, di più modalità terapeutiche, sia nell’ambito degli approcci locali (Chirurgia, Radioterapia e Radiologia Interventistica) che sistemici, grazie ai più moderni ed efficaci farmaci dell’Oncologia Clinica.

 

Quali sono, ad oggi, le tecniche disponibili?

“Tra le tecniche in grado di sostituire la Chirurgia, dobbiamo considerare la termoablazione e la crioablazione, ossia la distruzione fisica di tessuti tumorali, attraverso il calore o il freddo. Queste tecniche sono ideali quando il tumore ha sede in un organo parenchimale, come ad esempio il fegato, il polmone o il rene, dove l’ablazione ha lo scopo non di eliminare il tumore bensì di ucciderne biologicamente le cellule, lasciandolo in sede. La termoablazione non è una tecnica nuova e ha preso piede soprattutto a livello epatico – dove la chirurgia era particolarmente invasiva – tanto che oggi, secondo le Linee Guida Internazionali, per alcuni piccoli tumori primitivi del fegato è diventata la forma elettiva di trattamento. Così come lo sta diventando per le metastasi, da sola o in associazione alla Chirurgia stessa. Tutto il bagaglio di esperienza maturata nell’ambito epatico è stato poi tradotto su altri organi, ad esempio sul rene, dove l’efficacia delle tecniche mini invasive è assolutamente paragonabile a quella chirurgica e non solo in quei pazienti più a rischio nell’essere sottoposti a interventi invasivi. I Radiologi Interventisti italiani hanno una grande preparazione e sono certamente tra i più attivi e con maggior esperienza a livello internazionale, pur non esistendo, ad oggi, una Scuola di Specializzazione specifica come in altri Paesi. Attualmente è inclusa nell’ambito della Scuola di Specializzazione Radiologia Diagnostica e purtroppo, temo che ciò ne limiti la diffusione e la conoscenza, soprattutto perché manca gran parte dell’insegnamento più prettamente clinico, tipico delle Scuole di Specializzazione Chirurgiche. In questo modo il Radiologo che volesse dedicarsi alla branca interventistica, soprattutto nell’ambito dell’Oncologia, è necessariamente costretto ad apprendere le nozioni cliniche successivamente, direttamente “sul campo”, lavorando nei Centri di Riferimento di alto livello”.

 

Cosa vede nel futuro della Radiologia Interventistica?

“Ho due sogni nel cassetto. Il primo è che, come sta già avvenendo in molte realtà oltre confine, si riescano a creare anche in Italia delle Scuole di Specializzazione di Radiologia Interventistica o almeno dei percorsi “dedicati”, all’interno della Scuola di Specializzazione in Radiologia. Il secondo, che si sviluppino negli Ospedali dei reparti ben strutturati di Radiologia Interventistica con letti dedicati, per gestire il paziente in tutto il suo percorso clinico, dalla visita in ambulatorio alla condivisione di un team multidisciplinare, dal ricovero alle dimissioni, esattamente come avviene in un qualunque reparto clinico (chirurgico e medico); una realtà purtroppo, ad oggi, ancora estremamente rara”.

Contatti

Dott. Franco Orsi

Direttore Radiologia Interventistica

Istituto Europeo di Oncologia

Via Ripamonti, 435 – 20141 Milano

Tel. 02 57489060

Mail: franco.orsi@ieo.it

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