Ne parliamo con il Prof. Solerte, Direttore della Diabetologia e Geriatria dell’ASP-Pavia, Dip. di Medicina Interna dell’Università degli Studi di Pavia
Professore cosa significa parlare di diabete mellito oggi?
Il diabete mellito è una malattia endocrino-metabolica complessa ed eterogenea (Diabete di Tipo 1, di Tipo 2, Diabete secondario e genetico, Diabete gravidico e Diabete autoimmune dell’adulto) che colpisce più di 450 milioni di persone nel mondo, quasi 5 milioni in Italia, numeri purtroppo in difetto poiché molte persone non sanno di esserne affetti. Il diabete di Tipo 1, che interessa globalmente quasi il 5% della popolazione, è una malattia autoimmunitaria che si sviluppa in età giovanile, ma anche in età adulta e, caso non raro, in soggetti anziani. In questa forma di diabete le cellule beta del pancreas che producono insulina vengono progressivamente attaccate e neutralizzate dal sistema immunitario dell’organismo stesso. La terapia consiste nella sostituzione della carenza di insulina con insulina biosintetica commerciale. Da sottolineare che le insuline in commercio in Italia non sono tutte uguali ed equivalenti, pertanto dovrebbero essere tutte presenti nei prontuari regionali. Nel diabete di Tipo 2, che colpisce oltre il 90% di tutti i pazienti diabetici, il difetto insulinico può essere sia secretorio (poca produzione di insulina), sia funzionale, legato alla scarsa sensibilità all’ormone, con conseguente innalzamento di valori glicemici. Ma altri fattori contribuiscono allo sviluppo di questo tipo di diabete: l’aumento del glucagone, la riduzione di secrezione e di azione degli ormoni GLP1 e GIP, gli stimoli impropri provenienti dal cervello e dal grasso corporeo… È proprio da queste alterazioni che sono nati i presupposti per lo sviluppo di terapie innovative che oggi abbiamo a disposizione e che hanno come obiettivo aiutare il pancreas a secernere adeguatamente l’ormone insulina e l’insulina ad agire meglio, ma anche a ridurre l’azione del glucagone.
Quali sono le complicanze del diabete?
Bisogna distinguere tra metaboliche acute – come i comi metabolici – e secondarie di origine vascolare, distinte tra microvascolari – retinopatia, nefropatia, neuropatia – e macrovascolari – cardiopatia ischemica, aterogenesi aortica, cerebrovasculopatie, arteriopatie – tutte dipendenti dalla cattiva regolazione dei valori glicemici nel sangue. È bene sottolineare che le patologie cardiovascolari e neurodegenerative si possono sviluppare anche prima della diagnosi clinica di diabete e questo richiede di dover intervenire precocemente con nuovi farmaci che, oltre alla glicemia, prevengono il danno vascolare già evidente o potenziale.
Quali sono le caratteristiche e il meccanismo d’azione dei nuovi farmaci?
Negli ultimi anni la ricerca clinica ha messo a disposizione dei medici nuove classi di farmaci innovativi che stanno rivoluzionando la prognosi e il decorso naturale della malattia. Una prima classe è quella delle incretine, rappresentate da un lato da un ormone intestinale e pancreatico fondamentale per il controllo del metabolismo glucidico, e dall’altro dalle gliptine, che bloccano la degradazione enzimatica del GLP1 e di un altro peptide intestinale che stimola la secrezione endogena di insulina. Una seconda classe è costituita dalle gliflozine, che inducono il riassorbimento di glucosio a livello del tubulo renale, inducendo una perdita importante di glucosio nelle urine e di sodio, con una conseguente riduzione di peso corporeo, di grasso e della pressione arteriosa. Ma l’aspetto più sorprendente è che queste due classi di farmaci riducono il rischio cardiovascolare e la mortalità dei pazienti. Nonostante ciò, ad oggi solo il 3 – 4% dei pazienti le assume, per motivi quali le difficoltà burocratiche, l’inerzia della classe medica nel prescriverli, che dipende essenzialmente da elementi di carattere organizzativo (presenza di pochi specialisti, lunghe liste d’attesa, pregiudizi sugli effettivi vantaggi) e la psicosi strumentale dei costi.
Un messaggio di buon auspicio per i pazienti
La diabetologia italiana è di altissimo livello e compete alla pari, se non meglio, con quei paesi che hanno risorse finanziarie superiori alle nostre e che investono ingenti capitali in ricerca e risorse umane. Se le Regioni faranno sistema, saremo molto presto in grado di prevenire nuovi casi e di curare in maniera definitiva i soggetti che hanno già sviluppato la malattia e gran parte delle sue complicanze.

Prof. Bruno Solerte
U.O.C. di Geriatria – Servizio di Diabetologia Clinica Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Pavia ASP-IDR Santa Margherita
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