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Malattia di Anderson Fabry: cos’è, come si riconosce, come si cura

DIAGNOSI PRECOCE, RICERCA DI NUOVI FARMACI, MAGGIORE CONOSCENZA DELLA MALATTIA SONO LE STRADE PER GARANTIRE UNA CURA PIÙ APPROPRIATA E DUNQUE UNA QUALITA DI VITA MIGLIORE PER QUESTI PAZIENTI

La Dott.ssa Antonina Giammanco è Dirigente Sanitario Specialista in Medicina Interna e Dottore di Ricerca in Biotecnologie applicate alla ricerca biomedica presso l’Unità di Medicina Interna e d’Urgenza del Policlinico di Palermo, dove insiste il Centro di Riferimento per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle Malattie Rare del Metabolismo (CERMMET), diretto dal Prof. Maurizio Averna. Qui vengono seguiti, dal momento della diagnosi fino ai frequenti follow-up, i pazienti affetti dalla malattia di Anderson- Fabry, una patologia rara ancor oggi sotto diagnosticata e sottotrattata.

Dottoressa, cos’è la Malattia di Anderson Fabry e come si trasmette?

“Si tratta di una patologia genetica ereditaria causata da un accumulo lisosomiale legato alla carenza di un enzima – l’alfa-galattosidasi A – a livello dei vari tessuti, in particolar modo dei reni, del cuore, del sistema nervoso centrale e periferico, della cute e anche a livello dell’endotelio vascolare. La trasmissione della malattia è ereditaria e legata al cromosoma X. Le madri, ad ogni concepimento, hanno una probabilità del 50% di trasmettere il gene difettoso ai propri figli, siano essi di sesso maschile o femminile. I padri con la malattia di Anderson-Fabry non trasmettono il gene difettoso ai propri figli maschi, ma solamente alle figlie femmine. In funzione di un complesso meccanismo genetico noto come inattivazione del cromosoma X, i soggetti eterozigoti sviluppano la malattia in forma lieve, moderata oppure classica”.

Che incidenza ha nel nostro Paese?

“Si parla di un’incidenza annuale variabile tra 1/117.000 a 1/80.000 nati vivi. Se si considerano le varianti ad esordio tardivo, la prevalenza potrebbe essere sottostimata”.

Quali sono i principali sintomi?

“A parte il coinvolgimento del rene, del cuore e del sistema nervoso centrale e periferico come abbiamo detto, possono esserci anche manifestazioni come dolori molto forti con senso di bruciore agli arti e alle mani, febbre, stanchezza, intolleranza agli sforzi e agli effetti delle temperature estreme. Molte volte possono presentarsi disturbi dell’udito e della vista e una manifestazione cutanea data dagli angiocheratomi, che sono proprio caratteristici di questa malattia: si tratta di eruzioni rossastre che possono coinvolgere diversi distretti corporei”.

È facile arrivare alla diagnosi?

“Non sempre è semplice, proprio per la variabilità delle manifestazioni cliniche e per il fatto che non è detto che tutti i sintomi possano coesistere nello stesso paziente ma presentarsi con una combinazione diversa di manifestazioni cliniche. Di fronte a un sospetto di malattia, bisogna rivolgersi dunque ai Centri specializzati per un primo livello di indagini. Il primo esame serve a valutare l’attività dell’enzima alfa-galattosidasi, o alfa-GAL con un esame del sangue. Il test può essere eseguito anche su altri tipi di campioni, per esempio in cellule cutanee chiamate fibroblasti oppure su “gocce di sangue secco” (dried blood spots, DBS), test in cui piccole quantità di sangue vengono essiccate su carta da filtro. In caso di dubbio o di necessità di conferma del test enzimatico, si effettua un test genetico molecolare per la ricerca di mutazioni a carico del gene GLA. Queste sono le fasi preliminari, ma la gestione della malattia richiede poi tutta un’altra serie di esami che vanno eseguiti con una certa regolarità per definire il percorso diagnostico per individuare eventuali disfunzioni relative ai diversi organi e apparati che possono essere coinvolti – dall’ecografia dell’ addome all’ecocardio per valutare gli spessori del setto interventricolare alla risonanza magnetica dell’encefalo, etc.– e che devono essere mantenuti anche durante i follow-up per finalità di prevenzione, ad esempio di uno scompenso cardiaco avanzato”.

Come si tratta ad oggi la malattia?

“Partendo dal presupposto che più precoce è la diagnosi, quanto migliore è l’outcome, se la diagnosi è fatta abbastanza precocemente oggi è a disposizione la terapia di sostituzione enzimatica con due tipi di enzimi: l’agalsidasi alfa o l’agalsidasi beta, che vanno a sostituire l’enzima mancante attraverso infusioni endovenose effettuate ogni 14 giorni. A seconda però di quando viene fatta la diagnosi e quindi intrapresa la terapia, le risposte possono essere diverse: se la diagnosi viene posta in maniera tardiva e il danno d’organo si è già determinato, talvolta in modo irreversibile, anche se c’è il ripristino dell’enzima mancante, non sempre si assiste alla normale ripresa delle sue funzioni. Per questi soggetti che hanno avuto una diagnosi in età avanzata ci si accontenta di una stabilizzazione della malattia nel tempo. Altra opzione terapeutica, invece, è data dalla terapia orale chaperonica. Attualmente è l’unica terapia per via orale approvata ma soltanto per alcuni pazienti: è efficace, infatti, su coloro che presentano alcune particolari mutazioni genetiche definite suscettibili ed elencate in un database dedicato”

Un sogno nel cassetto per la cura di questi pazienti?

“In primo luogo una conoscenza maggiore della patologia a livello territoriale per arrivare a diagnosi più precoci. In seconda battuta si sta lavorando allo sviluppo di nuovi farmaci, ad esempio terapie basate su cellule staminali e sulla terapia genica. Infine, un altro aspetto importante è il monitoraggio: ad oggi esistono dei sistemi a punteggio che permettono la valutazione dei pazienti sulla scorta del coinvolgimento d’organo per valutare qualitativamente lo stato di benessere dei pazienti e la progressione della malattia, per rimodulare eventualmente anche la terapia stessa”.

Contatti

Dott.ssa Antonina Giammanco

Dirigente Sanitario Specialista in Medicina Interna presso il Policlinico “Paolo Giaccone” Università degli Studi di Palermo

Via del Vespro 129 – 90127 Palermo

Mail: agiamman@gmail.com

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