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Microbiota e ricerca per migliorare la qualità di vita

Butirrato di sodio, ricerca e stile di vita, alleati contro la sindrome dell’intestino irritabile

La sindrome dell’intestino irritabile (IBS), in passato conosciuto da molti come “colite spastica” è stato a lungo considerato un contenitore dove inserire i disturbi intestinali  più vari, dice il Prof. Massimo Bellini Direttore UO Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, accomunati dal fatto di non avere un’apparente causa organica e ben definita. Ciò ha generato molta confusione e quindi non stupisce che nell’opinione di molti, anche medici, l’IBS sia una malattia che non esiste  o, assai peggio, una malattia inventata da aziende farmaceutiche alla ricerca di facili guadagni, aiutate da medici compiacenti e conniventi.

Purtroppo l’IBS, anche se non è contraddistinto da “marcatori” biologici quali possiamo individuare in altre patologie ad esempio la malattia celiaca o le malattie infiammatorie intestinali, è una realtà ben precisa. E’ definito dalla presenza di dolore addominale associato ad un’alterazione della frequenza delle evacuazioni (aumentate o diminuite) e della consistenza delle feci (dure o molto morbide/liquide). In base a queste caratteristiche, che devono essere presenti almeno una volta alla settimana, si possono identificare una IBS con predominanza di stitichezza, una IBS con predominanza di diarrea ed una IBS  con alvo misto (stitico e diarroico).

Esiste una causa precisa e definita che possa spiegare la comparsa di questa sindrome?

Molte sono le ipotesi che negli anni si sono succedute e magari sovrapposte tra loro.

In passato si riteneva che l’IBS fosse un disturbo della motilità digestiva: un aumento o una riduzione dell’attività motoria intestinale avrebbero causato, rispettivamente, diarrea o stipsi insieme al dolore addominale e al gonfiore.

In anni più recenti si è pensato ad un’alterazione degli ormoni gastrointestinali e in particolare della serotonina, che è una sostanza prodotta da alcune cellule intestinali ma che ritroviamo anche in minor quantità nel nostro cervello, e che è capace di regolare la motilità, la secrezione intestinale e la percezione del dolore a livello dell’apparato digerente.

L’osservazione che spesso i pazienti mettono in relazione la comparsa dei sintomi con l’assunzione dei pasti ha fatto spostare l’attenzione sul ruolo dell’alimentazione. Esistono particolari cibi ricchi di zuccheri quali il lattosio, il fruttosio, il sorbitolo utilizzato come dolcificante, i fruttani che troviamo nel pane e nella pasta, i galattani che troviamo nei legumi, che, in pazienti predisposti e  se assunti in adeguata quantità, possono essere capaci di attirare acqua nell’intestino tenue ed essere fermentati nel colon con produzione di gas e conseguente sensazione di dolore e distensione dell’addome e alterazione della consistenza delle feci (prevalentemente diarrea)

Si è poi osservato che alcuni pazienti sviluppavano la sintomatologia tipica dell’intestino irritabile dopo un episodio di gastroenterite acuta, sia batterica che virale, come se l’infezione lasciasse loro un’alterazione permanente del microbiota intestinale. Il microbiota intestinale è l’insieme di batteri, virus e funghi che risiede normalmente nel nostro intestino e che è indispensabile alla nostra vita. Il microbiota produce moltissime sostanze quali vitamine e  molecole ad attività antibatterica e immunogena, e ha la capacità di metabolizzare sostanze (ad es. le fibre) che il nostro organismo non avrebbe capacità di utilizzare altrimenti. In un soggetto normale il microbiota è in un delicato equilibrio che può essere alterato da alimenti, farmaci e, appunto infezioni enteriche.

L’alterazione di questo equilibrio è definita “disbiosi” e può determinare una prevalenza dei batteri “cattivi” (patogeni) su quelli buoni (Bifidobatteri e Lattobacilli). Nella sindrome dell’intestino irritabile è stata appunto osservata una riduzione della concentrazione dei batteri “buoni” capaci di produrre butirrato ed invece un incremento della concentrazione di quelli “cattivi”, produttori di metano. L’alterazione di questo delicato equilibrio può determinare infiammazione e quindi un’alterazione della barriera mucosa intestinale che rappresenta, in un certo senso, il confine tra il nostro organismo e l’ambiente esterno. La barriera mucosa dell’intestino è costituita da uno strato di cellule aderenti strettamente le une alle altre  e da uno strato protettivo di muco. Diversi fattori possono contribuire a rafforzare (dieta equilibrata, prebiotici e probiotici, attività fisica moderata e corretto stile di vita)  o a indebolire (infiammazioni  gastro-intestinali, farmaci, stress, fumo, esercizio fisico intenso) questa struttura fondamentale per la nostra salute.

L’alterazione della barriera intestinale determina un aumento della permeabilità dell’intestino, cioè della corretta capacità di questo organo di secernere e di assorbire in maniera selettiva sostanze e nutrienti. Un’alterazione della normale permeabilità dell’intestino può ad esempio essere la causa del passaggio di batteri, virus, tossine e comunque di prodotti nocivi attraverso la parete intestinale e della loro diffusione nel nostro organismo ed è di frequente riscontro in patologie digestive quali appunto l’IBS, le  malattie infiammatorie intestinali e la celiachia, ma è anche stata osservata in  patologie autoimmuni e  cardiovascolari  e nei pazienti diabetici.

Esistono delle terapie che possiamo utilizzare per curare l’IBS?

Nel corso degli anni sono state proposte  moltissime terapie, farmacologiche e non per il trattamento di questa sindrome. Una delle maggiori difficoltà in campo terapeutico è data dal fatto che la  sintomatologia è composita e a volte apparentemente “contraddittoria”, per cui il medico può dover prescrivere  farmaci ad azione antispastica e antidiarroica, atti a ridurre l’attività motoria intestinale nei pazienti con diarrea o prodotti ad azione lassativa, capaci di incrementare la motilità dell’intestino, nei pazienti  con una più marcata componente stitica. Quando la componente dolorosa addominale sia più importante potranno essere poi  utilizzati anche farmaci cosiddetti “neuromodulatori”, cioè sostanze che a dosaggio elevato avrebbero azione antidepressiva, ma che a basso dosaggio manifestano prevalentemente proprietà antidolorifiche. Non dobbiamo poi dimenticare che, essendo il gonfiore e la distensione addominale due sintomi frequentemente lamentati dai pazienti, anche prodotti ad azione antimeteorica (simeticone, enzimi digestivi, probiotici, integratori, etc.) trovano largo impiego. Inoltre essendo l’aspetto psicologico una componente non trascurabile, in alcuni pazienti vengono suggeriti appropriati trattamenti psicoterapeutici.

Di fatto questi pazienti raramente vengono trattati con un solo farmaco ma dato che le cause e i sintomi sono spesso molteplici, il medico è costretto ad utilizzare “cocktail” di farmaci, purtroppo molto spesso con scarsa soddisfazione sia sua che del paziente.

Poco sopra accennava al possibile ruolo del cibo: esistono dei consigli dietetici che possono essere suggeriti a chi soffre di intestino irritabile?

Come ricordavamo sopra la maggior parte dei pazienti con IBS mette in relazione la comparsa o l’esacerbazione dei suoi sintomi con l’assunzione di alcuni cibi e alla fine di ogni visita quasi tutti i pazienti chiedono consigli su come modificare la loro alimentazione. In prima battuta vengono dati consigli generici: attività fisica moderata ma costante, regolarità nell’assunzione dei pasti, corretta quantità di acqua (1,5 – 2 litri al dì) con limitazione delle bevande gassate e degli alcolici, riduzione dell’assunzione di te, latte, caffè e dolcificanti, adeguata assunzione di fibre presenti nella frutta  e nelle verdure evitando una eccessiva assunzione di quei prodotti (legumi, cavolo e brassicacee in genere, castagne, fichi, etc.) che possano incrementare il meteorismo intestinale e/o peggiorare l’alvo in senso diarroico.

Se questi consigli dietetici “generici” non riescono a migliorare i sintomi è opportuno, come scelta di “seconda linea”, suggerire ai pazienti una dieta a basso contenuto di FODMAPs, acronimo inglese che sta ad indicare un gruppo particolare di zuccheri (oligosaccaridi,  disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili) e cioè lattosio, fruttosio, galattani contenuti nei legumi, fruttani contenuti nei cereali e polioli spesso usati come dolcificanti.

La dieta a basso contenuto di FODMAPs (LFD) non comporta l’esclusione permanente e totale di questi cibi ma una loro riduzione per un periodo sufficiente (4-6 settimane) seguita da un periodo di reintroduzione di un gruppo di alimenti per volta, in modo da identificare con chiarezza quali siano gli alimenti in grado di scatenare i sintomi dell’IBS nel singolo paziente. E’ quindi una dieta restrittiva che va rigorosamente personalizzata, “cucita addosso” ad ogni paziente da un esperto di nutrizione clinica.

Un tipo di dieta come la LFD può comportare dei rischi?

Come tutte le diete “di eliminazione”, può esporre il paziente a squilibri dal punto di vista nutrizionale (ad es. ridotto apporto di Calcio e di Ferro) con  eccessiva perdita di peso, e alterazione di alcuni esami ematologici. Inoltre, se il paziente non è seguito da un professionista della nutrizione, potrebbe correre il rischio di ridurre drasticamente l’apporto di fibre che hanno un’azione prebiotica, cioè costituiscono la principale fonte di nutrimento per il microbiota intestinale e soprattutto per i batteri “buoni”, cioè i Bifidobatteri e i Lattobacilli, che come abbiamo visto hanno molteplici azioni positive. Si potrebbe creare un’alterazione importante del microbiota intestinale, una disbiosi, che porterebbe anche ad una minor capacità del microbiota stesso di produrre  gli acidi grassi a catena corta, il butirrato, l’acetato, il propionato che svolgono numerose azioni positive per l’organismo umano.

In particolar il butirrato, da solo o insieme ad acetato e propionato:

  • E’ una fonte di energia per le cellule della mucosa intestinale rafforzando l’integrità della mucosa intestinale  attraverso l’incremento della produzione delle proteine che favoriscono l’aderenza delle cellule  intestinali tra loro
  • Favorisce la ricostruzione della barriera mucosa intestinale eventualmente danneggiata
  • Induce la secrezione di ormoni coinvolti nel ridurre l’appetito e nello stimolare il senso di sazietà
  • Incrementa l’acidità dell’ambiente intestinale riducendo la proliferazione batterica
  • Favorisce l’assorbimento di minerali quali Calcio, Magnesio, Ferro e Zinco
  • Svolge un’importante attività antinfiammatoria

Viste le molteplici positive azioni del butirrato si potrebbe pensare ad una sua somministrazione nei pazienti con IBS, anche a prescindere da una dieta LFD?

Esistono ormai diversi studi, sia su animale che “in umano”, che dimostrano l’ efficacia del butirrato di sodio,  somministrato per almeno 6-12 settimane, nel modulare il microbiota fecale dei pazienti, stimolando la crescita dei batteri produttori di acidi grassi a catena corta. Di pari passo in questi pazienti si è osservato anche un significativo miglioramento della qualità di vita e dei  sintomi digestivi  (dolore addominale, flatulenza, diarrea, urgenza defecatoria) così frequenti e invalidanti sia nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali che con IBS. Verosimilmente la positiva azione riscontrata clinicamente è anche da considerarsi legata all’ importante azione antinfiammatoria del butirrato di sodio, testimoniata da una riduzione dei livelli di calprotectina fecale nei pazienti con malattia infiammatoria intestinale.

Si può quindi ragionevolmente pensare ad un utilizzo clinico del butirrato di sodio, sia in monosomministrazione  sia come terapia da aggiungere a quella già assunta, per migliorare la sintomatologia e la qualità di vita dei pazienti affetti da IBS. Spunti interessantissimi di ricerca si stanno aprendo, nel nostro come in altri centri di ricerca, per una più approfondita valutazione  delle numerose potenzialità, molte ancora inespresse, che questa molecola  potrebbe avere dal punto di vista clinico.

Contatti:
Prof. Massimo Bellini
Direttore UO Gastroenterologia
Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana
Via Roma, 67, 56126 Pisa
Tel. 050 997416
Mail: massimo.bellini@unipi.it

 

 

 

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