A parlarcene, il Prof. Gianfranco Parati, Docente di Cardiologia all’Università Milano-Bicocca e Direttore dell’U.O. di Cardiologia dell’Ospedale S. Luca di Milano
I trigliceridi alti nel sangue costituiscono una condizione medica nota come ipertrigliceridemia, che comporta un aumento del rischio di eventi cardiovascolari. È quindi importante tenere sotto controllo l’aumento dei trigliceridi. Ce ne parla, il Prof. Gianfranco Parati, Direttore dell’U.O. di Cardiologia e del Dipartimento di Scienze Mediche e Riabilitative ad indirizzo Cardio-Neuro-Metabolico dell’Ospedale S. Luca di Milano, Professore Ordinario di Medicina Cardiovascolare e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, dell’Università di Milano-Bicocca. È Presidente della Società Italiana Ipertensione e membro del Consiglio della Società Europea di Cardiologia.
Perché è importante considerare l’aumento dei trigliceridi?
Un aumento dei trigliceridi si ha quando il valore a digiuno supera 150 mg/dl e questo può essere o su base genetica oppure di origine secondaria, dovuto ad un eccesso di calorie, di zuccheri, di alcool, di grassi vari nella alimentazione, che vengono trasformati in trigliceridi dal fegato. Diverse condizioni possono favorirne l’aumento, quali il sovrappeso, l’inattività fisica, il fumo, il diabete, una tiroide mal funzionante, ma anche le malattie renali croniche. Un aumento dei trigliceridi può anche essere associato all’uso di farmaci quali i corticosteroidi, i betabloccanti, o gli estrogeni per via orale. È importante controllare il loro aumento nel plasma perché implica un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, soprattutto in pazienti che soffrono di diabete.
Se l’aumento dei trigliceridi è un fattore di rischio, come tenerli sotto controllo?
Innanzitutto occorre migliorare lo stile di vita, quindi seguire una giusta dieta, evitare alcool e fumo, i grassi saturi, l’eccesso di carboidrati ed ovviamente praticare un’attività fisica regolare, perché ribilancia il metabolismo ed aiuta a consumare carboidrati e grassi in eccesso. Se ciò non bastasse, occorre associare una terapia basata sull’utilizzo di fibrati, acido nicotinico od Omega 3. I fibrati e l’acido nicotinico sono farmaci classici, con indicazioni ben definite. Poi abbiamo gli Omega 3, detti anche “olio di pesce”, che contengono acidi grassi polinsaturi. Si possono assumere in piccola parte mangiando pesce, altrimenti come supplemento, e per ridurre livelli elevati di trigliceridi occorre una dose di almeno 3/4 grammi al giorno. Gli Omega 3 agiscono a vari livelli: riducono la sintesi di proteine che trasportano i trigliceridi e attivano alcuni recettori che ne riducono la produzione, favoriscono la loro eliminazione nel sangue e possono aumentare il colesterolo buono e ridurre quello cattivo. Soprattutto riducono la produzione di chilomicroni, particelle composte da trigliceridi legati ad alcune proteine di trasporto che, circolando nel sangue, vanno a depositarsi in diversi organi favorendo lesioni aterosclerotiche.
Possiamo parlare di effetto cardioprotettivo degli Omega 3? Se sì, in quali pazienti?
È da anni che se ne parla dopo uno studio italiano che ha dimostrato un loro effetto cardioprotettivo, con riduzione della mortalità per infarto nei pazienti che assumevano questi farmaci. Un’ipotesi è che gli Omega 3 possano avere un effetto di stabilizzazione della membrana delle cellule cardiache, riducendo la loro eccitabilità e di conseguenza le aritmie maligne. Questo porterebbe ad una riduzione della morte improvvisa legata a questa instabilità. Un documento dell’American Heart Association pubblicato quest’anno ha fatto il punto sugli Omega 3 dal punto di vista della cardioprotezione. Se un paziente che ha avuto un infarto assume con regolarità gli Omega 3, in effetti si nota una riduzione di quasi il 10% del rischio di mortalità cardiovascolare ed in particolare di morte improvvisa. Questo è stato osservato utilizzando la dose di solo 1 g al giorno, insufficiente a ridurre i trigliceridi ma in grado di ottenere stabilizzazione elettrica cardiaca e riduzione delle aritmie. Al momento esistono due indicazioni, supportate da evidenze scientifiche, per un uso a scopo cardioprotettivo degli Omega 3. Si tratta dei pazienti che hanno una cardiopatia ischemica, in particolare dopo un infarto, e dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca, che insieme rappresentano una consistente frazione dei pazienti cardiopatici. Quindi possiamo concludere per l’esistenza di evidenze scientifiche consolidate sia a favore dell’uso di Omega 3 alla dose di 3-4 g/die per la terapia della ipertrigliceridemia, sia a sostegno del loro uso anche alla dose di 1 g/die, in sottogruppi selezionati di pazienti, per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, in particolare la riduzione della mortalità cardiovascolare e specificamente della morte improvvisa.
Prof. Gianfranco Parati
Direttore dell’U.O. di Cardiologia e del Dipartimento di Scienze Mediche e Riabilitative ad Indirizzo Cardio-Neuro-Metabolico IRCCS Istituto Auxologico Italiano Ospedale S.Luca
Piazza Brescia,20 – 20149 Milano
Segreteria: 02 619112890 Fax 02 619112956
gianfranco.parati@unimib.it